Blognotes n 17
Blognotes 17

TOTEM & TABÙ
è il tema del numero 17 di Blognotes

Articolo presente in

Il cibo come totem e tabù. Intervista sull’anoressia

di Gian Luigi Luxardi conversa con Ivana Truccolo
Metro. Foto di FranckinJapan da Pixabay

Incontro il dottor Gian Luigi Luxardi al Centro Diurno per i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) che si trova presso la Pediatria dell’Ospedale Civile Santa Maria degli Angeli di Pordenone, Azienda Sanitaria Friuli Occidentale (ASFO).

Accetta volentieri la proposta di una conversazione sui totem e tabù associati alle persone che soffrono di disturbi del comportamento alimentare: “la sensibilizzazione della popolazione fa parte del nostro lavoro. L’obiettivo è permettere alle persone di riconoscere i sintomi e accedere il prima possibile ai luoghi di cura, e se possibile prevenire comportamenti pericolosi”.

Il dottor Luxardi, psicologo, è referente del Centro Diurno per i DCA, in stretta collaborazione con il dottor Roberto Dall’Amico, pediatra, primario, come si sarebbe detto un tempo, della Pediatria.

Il Centro è un luogo molto bello, consiste in alcune stanze per niente asettiche, accoglienti, colorate, vissute. Sa poco di ospedale e molto di casa-scuola-atelier-sala musica-palestra-luogo di conversazione e svago. Alle pareti dipinti e opere realizzate dalle ragazze che frequentano il Centro e “per quanto riguarda gli arredi, è tutto opera di ADAO, Associazione per i Disturbi Alimentari e Obesità Friuli, associazione di genitori e amici che da alcuni anni supporta grandemente il Centro”.

Disegno presso il Centro Disturbi Alimentari, Pediatria dell’Ospedale Civile Santa Maria degli Angeli di Pordenone

Ma chi sono, dottor Luxardi, le persone che si curano in questo luogo? Innanzitutto si tratta solo di ragazze?

“La stragrande maggioranza sono ragazze. Abbiamo avuto anche ragazzi, che in genere però  non si identificano del tutto in un corpo magro. Questo comporta un distacco dalla malattia più veloce e un recupero più rapido. La sindrome più frequente nei ragazzi, in gergo tecnico, si chiama reverse anorexia, cioè anoressia al rovescio. Mentre per le ragazze un elemento caratteristico è la distorsione dell’immagine corporea – si guardano allo specchio e si vedono grasse anche se sono magrissime -, i ragazzi si vedono troppo esili anche se sono “normali”, e subiscono il mito dell’uomo tutto muscoli. Qui può innestarsi un circolo vizioso: il ragazzo si vede esile, quindi intensifica l’esercizio fisico in modo ossessivo (per esempio stabilisce di fare 400 addominali al giorno), nel contempo mangia poco perché ha paura del grasso. In questo modo va a demolire la massa grassa ma anche i muscoli. A questo punto dovrebbe ragionevolmente rivedere l’approccio e invece – succede sia nei ragazzi che nelle ragazze – intensifica l’attività fisica – se non bastano 400 addominali ne faccio 600 – e i risultati sono conseguenti.”

Ma perchè non riescono a rivedere l’approccio? È  una questione di mancanza di intelligenza?

“Beh, il funzionamento mentale viene a soffrire con la malnutrizione. Il nostro cervello è un organo che richiede molta energia, circa 500 kcal al giorno. Se gliene diamo meno riduce l’attività all’ordinaria amministrazione, ripetendo in modo stereotipato ciò che si fa ogni giorno. Si riduce la flessibilità mentale e la capacità di problem solving. C’è una tendenza alla rigidità mentale, alla ripetitività passiva di comportamenti che non vengono messi in discussione. A volte questa caratteristica è precedente al disturbo del comportamento alimentare, altre volte successiva, in quanto le carenze nutrizionali incidono sulla capacità di concentrazione e di pensiero astratto, di risoluzione dei problemi, di prendere decisioni e così via. Se andiamo a fare uno scan del cervello, notiamo una riduzione della materia grigia dovuta alla malnutrizione, che poi si recupera ma c’è. Quindi non è solo un fatto psicologico.

Certo, nella maggior parte son persone molto intelligenti ma anche questo è un mito, un totem direi. Con l’andare degli anni, abbiamo anche persone con difficoltà cognitive che soffrono di disturbi del comportamento alimentare. Dovessi fare un quadro, distinguerei tre gruppi:

a) persone ad alto funzionamento, cioè ragazze intelligenti, perfezioniste che magari si identificano in un certo tipo di corpo magro ma perché sono ambiziose e poi continuano a perdere peso in modo ossessivo: queste sono quelle che guariscono prima.

b) Persone con difficoltà emotive che tendenzialmente vanno sul versante dell’anoressia/bulimia, caratterizzate da perdita di controllo, che usano il cibo per sedare l’emotività.

c) Persone coartate emotivamente che fondamentalmente rientrano nello spettro autistico. Quindi, grande rigidità cognitiva, scarsa capacità di riconoscimento delle emozioni (alessitimia).”

Magrezza da pixabay

Ma…è una malattia dei tempi moderni, dell’abbondanza, o c’era anche in passato?

“Se si vanno a leggere alcune storie di sante del passato, ad esempio Santa Caterina da Siena che scriveva al vescovo che si sarebbe impegnata a mangiare nonostante la sua avversione al cibo mangiato sempre di meno (al Vescovo non piaceva questa restrizione alimentare!) o Santa Teresa che mangiava un’ostia al giorno e poi aveva le visioni! La malnutrizione provoca uno stato di intossicazione, come qualsiasi sostanza di abuso, producendo uno stato di alterazione che era funzionale alla pratica ascetica, in questo senso non si trattava di un utilizzo fine a sé stesso, come nell’anoressia. Nelle anoressie del passato non c’era una distorsione dell’immagine corporea. Una persona magra nelle culture del passato – e ancor oggi in certe culture – era poco attrattiva, un simbolo di povertà per rimanere nei totem.

Dopo la seconda guerra mondiale le cose son cambiate, il benessere diffuso ha minato lo status symbol dell’essere “in carne”, simbolo di agiatezza, sostituendolo con la frequentazione della palestra. Sulle riviste è cominciato a essere rappresentato come totem il corpo magro, le diete – non si sa se è comparsa prima l’obesità o prima le diete…- c’è un riferimento estetico particolare nel corpo magro. Se mettiamo insieme l’anoressia come intossicazione e la desiderabilità del corpo magro, ci troviamo in una situazione per cui, se c’è una predisposizione, è facile sviluppare una patologia!”

Di che tipo è la predisposizione?

“Gli studi degli ultimi anni rivelano una importante correlazione con la genetica. Ci sono otto loci del DNA che hanno a che fare con il disturbo alimentare. Questo spiega perché tra i milioni di persone che si mettono a dieta solo poche sviluppano un disturbo alimentare. È un po’ la stessa considerazione che possiamo fare tra le tante persone che bevono un bicchiere di vino e chi diventa alcoolista. Ha a che fare con il metabolismo della dopamina nel centro della gratificazione (nucleo accumbens) del nostro cervello, il luogo in cui si forma la sensazione di piacere che percepiamo”.

E a livello di percezione sociale, com’è percepita l’anoressia? Un tempo era tabù, oggi invece se ne parla molto. Ma come se ne parla?

“L’anoressia ha  attraversato un periodo simile a quello della dipendenza da sostanze,molto ben descritta a suo tempo in un libro del 1978 Noi, i ragazzi dello zoo di Berlin, in cui i tossicodipendenti appaiono come dei tipi interessanti, da imitare quasi. Questa ‘desiderabilità’ della trasgressione è stata l’ostacolo contro cui si sono infranti i tentativi di prevenzione degli anni anni ’80-’90, quando si andava nelle scuole a parlare delle sostanze stupefacenti. Si faceva venir voglia di provare. Lo stesso accade quando si fanno le conferenze sui disturbi alimentari spiegandone i sintomi, gli effetti, i pericoli. L’intento è di fare prevenzione,  in realtà però si suscita interesse. Fino a poco tempo fa c’era il mito della ragazza bella, ricca e intelligente che diventava anoressica inseguendo il totem della volontà che tutto può…

Oggi questa fascinazione c’è molto meno, anzi, a volte si creano pregiudizi nei confronti delle ragazze che soffrono di disturbo alimentare, raramente anche tra gli insegnanti. Per fortuna abbiamo i mezzi per intervenire, per esempio la Scuola in Ospedale che è già una realtà consolidata e che aiuta molto a non creare uno svantaggio secondario.

A volte le  ragazze adolescenti, perché questa è l’età di insorgenza, faticano ad accettare la diagnosi e tendono a considerare il disturbo uno stile di vita, negando la malattia e le sue conseguenze.  In questi anni è difficile trovare un disturbo in adolescenza che non sia “vestito” da disturbo alimentare. Sotto tale vestito ci può essere qualsiasi condizione, da quella di persone tutto sommato abbastanza equilibrate a ragazzi con un profondo disagio psichico.

A cosa “serve” il disturbo alimentare? Serve a creare una difesa: io mi difendo controllando il controllabile. Alla fine quello che metto in bocca è una delle cose più facilmente controllabili nella vita.  E soprattutto, non è sottoposto al giudizio altrui. Io posso studiare, anche tanto, ma il voto dipende dal professore. Invece, se faccio una dieta restrittiva, la bilancia mi dà subito il risultato, ed è meno temibile del professore!”

Weight-loss. Foto di Tumisu da Pixabay

E la famiglia, qual è il ruolo della famiglia in tale disturbo?

“Anche in questo campo, c’è stata un’evoluzione. In passato si poneva la causa dei disturbi nell’ambito delle relazioni interpersonali e soprattutto familiari.

Si tendeva molto a colpevolizzare la famiglia e questo derivava delle osservazioni cliniche: arrivava una ragazza e si osservava che la sua famiglia era iperprotettiva, invischiata (tutti sapevano tutto di tutti) o al contrario, completamente disimpegnata, e rigida.  Ergo, queste erano le cause del disturbo.

Poi si è ragionato che, se ti trovi con una figlia che pesa 30 kg, un po’ iperprotettivo lo diventi e queste sono reazioni all’insorgenza del disturbo, che possono tuttavia generare un circolo vizioso di mantenimento. Le famiglie,in realtà, sono estremamente diverse: alcune possono essere disturbate disturbate, molte altre no. In questo campo più di altri gli stereotipi fanno sempre molti danni.

E la scuola, cosa può fare?

“L’anoressia, prima di tutto, è un disturbo del pensiero. Una persona che ne soffre per il 90% del tempo della giornata pensa al cibo, che diventa una specie di totem in negativo, dal cui controllo dipende tutto.  A scuola quindi è meglio non parlare di cibo perché si va a rinfocolare il problema. Sarebbe utile vedere il disturbo alimentare come una malattia come tante altre. Andrebbero evitati commenti sul corpo. Anche il banale “ti vedo bene” generalmente viene percepito con il significato di “sei ingrassata”. Commenti sulla corporeità delle persone sovrappeso sono sempre negativi, ricordiamoci che il 30% delle ragazze sovrappeso, anche lievemente, poi sviluppano un disturbo alimentare.

La scuola può fare molto. L’anoressia è la creazione di un mondo piccolo, controllabile, dove il proprio valore di persona è ridotto a un numero, quello che vedo sulla bilancia. Oppure il voto. Vado bene se ho un peso basso e se prendo un voto alto… Su questo si innesta un perfezionismo. Non quello dell’artista o dello scienziato, che amano la loro opera. Prendere il massimo rappresenta una assicurazione sul fatto di non ricevere critiche, anche se non mi importa niente di ciò che studio. Se prendo 9 e mezzo subentra il pensiero di cosa ho combinato per essere stato privato del mezzo punto che manca. Questo perfezionismo non andrebbe incentivato, ma non sempre questo viene colto. La scuola in ospedale, che interviene quando si viene ricoverati, spesso si trova ad affrontare questi atteggiamenti. Anche con bei successi scolastici.E anche il laboratorio di scrittura creativa “Microbi dal cuore grande” è una grande opportunità per riuscire ad esprimere il mondo interiore, a  dare un nome alle cose.”

Altri tabù, dottor Luxardi, per esempio rispetto alla vita sessuale di queste persone?

“La vita sessuale viene un po’ silenziata a causa della restrizione alimentare severa che porta alla riduzione del grasso essenziale di cui son fatti gli ormoni. Per le ragazze che si affacciano all’adolescenza con insicurezza nei confronti di un corpo che diventa sessualizzato, l’anoressia è il modo per fuggire e tornare all’infanzia. Si interrompono le mestruazioni e il corpo torna ad essere infantile, indistinguibile da quello del maschietto. C’è una fuga dalla crescita…

Altre volte ci sono persone con una forte instabilità emotiva che porta a una sessualità compulsiva.”

Si guarisce da questi disturbi dottor Luxardi? 

“Abbiamo persone che stanno bene, lavorano, hanno famiglia, figli…Il Centro è aperto dal 1996, quindi è un buon osservatorio. La storia naturale del disturbo alimentare: il 60-70% delle persone guariscono, il resto cronicizza o sviluppa una bulimia o un binge eating disorder, cioè disturbo da alimentazione incontrollata.

Gli studi epidemiologici ci dicono che, mentre seguiamo nei servizi quasi tutte le persone con anoressia, vediamo il 5% di quelle con bulimia o binge eating che porta in molti casi all’obesità”.

Racconta poi che vi sono casi, per fortuna pochi, di anoressia cronica che diventa sarcopenia, carenza assoluta di muscoli. A breve ci sarà una dottoressa che discuterà una tesi di Master su questo argomento.

A questo proposito, quale formazione dà l’Università su questo disturbo?

“Non esiste un esame su questi disturbi né a Medicina né a Scienze Motorie  mentre sarebbe importante che questi professionisti fossero preparati a cogliere subito i segnali sapendoli distinguere.

Ora le cose stanno cambiando anche grazie all’aiuto importantissimo dell’associazionismo. Per esempio tutti gli arredi del centro diurno sono stati offerti dall’ ADAO Friuli che ci permette di fare formazione, diffusione, riabilitazione e prevenzione. E poi ci sono i tirocinanti  di varie discipline che aiutano il Centro ad essere un luogo giovane, caldo, vivo.  Un vero luogo di cura.”

E ci lasciamo con il dono di un libro fresco di stampa “Fuori dal buio”, curato da Gian Luigi Luxardi e Fiorenza Marchiol, edito da ADAO, che racconta in sintesi queste e molte altre cose sul tema complesso dei disturbi alimentari.