Blognotes n 17
Blognotes 17

TOTEM & TABÙ
è il tema del numero 17 di Blognotes

Articolo presente in

La voce di noi ragazzi: Tabù, Fossimo tutti innamorati, La mafia era un tabù

di F.B., Estia, Carolina Russo, Tessa Marconi

La voce di noi ragazzi

F.B.

“Nel naufragio di tutto, la tenerezza rimane a galla” (Victor Hugo, L’uomo che ride, 1869)

Agire, condividere, offrire, fare rumore, esternare, riconoscere la sacralità del nostro intimo: atti sociali necessari che, se scelti e condotti con consapevolezza e rispetto per se stessi, costruiscono la communitas. Non c’è niente di più sacro dei sentimenti, poiché sono il motore di un’azione volta a cambiare, nel mondo di tutti, quello che non funziona, che non fa stare bene, che si palesa ingiusto. Muovono gli attivismi, danno senso all’oggettività, creano il cambiamento che vorremmo vedere e costruiscono la felicità. La società si dipana dal cuore dei singoli individui, lì dove il linguaggio che essi adoperano per raccontarsi e raccontare rende reale e valevole ogni cosa a cui viene conferita importanza. Ed è proprio l’estrema centralità di questa essenza che la rende contemporaneamente il luogo di forza e di vulnerabilità degli esseri umani, quel volto da esaltare all’ennesima potenza e da occultare nella massima oscurità. I ragazzi lo sanno, e lo gridano tutte le volte che viene data loro occasione per farlo: la vita interiore è totem e tabù, allo stesso tempo. Sacro e proibito, matrice di salvezza del singolo e della collettività. I ragazzi lo esprimono dalle nicchie che hanno a disposizione, le cercano, e sperano che qualcuno rifletta e prenda il coraggio dell’ammissione senza taggare questa consapevolezza con l’etichetta della sfrontatezza adolescenziale. Dovremmo lasciarci interrogare, invece, ora, svecchiarci, e trarre vantaggio da questo, perché l’adultità sta proprio nella considerazione dei sentimenti, propri e altrui.

“Si dice che i genitori rimangono giovani nei figli, ed è questo uno dei più preziosi vantaggi psicologici ch’essi ricavano da loro” (Sigmund Freud, Totem e Tabù, 1913).

Tabù

Estia, Istituto Flora Pordenone

Foto di Riccardo Moretti

Nella nostra società ci sono molti argomenti dei quali è difficile parlare e che possono facilmente diventare tabù in relazione alle persone cui ci si rivolge.
A me sembra quasi tutto un tabù, sono una persona fragile, non riesco a relazionarmi bene, non ho una cerchia di amici grandissima o un gruppo fisso. Preferisco di gran lunga leggere, disegnare o scrivere mentre ascolto la musica, invece di andare a qualche evento sociale, come una festa o anche solo un’uscita tra amici che non passano in libreria.
Una cosa di cui non parlo quasi con nessuno, è che a 17 anni mi piace ancora guardare i cartoni animati: so che non è una cosa di cui vergognarsi, ma ho paura del giudizio altrui. Questa mia passione mi ostacola nel fare amicizia con i ragazzi e le ragazze della mia stessa età. Con i miei compagni di classe non riesco a comunicare per più di cinque minuti, non riesco a iniziare conversazioni perché non so di cosa parlare se non della scuola. Tutto questo per la paura insopprimibile di essere reputata strana ed essere esclusa. Essendo una persona ipersensibile, essere giudicata e non accettata mi pesa tanto: arrivo al punto di restare in silenzio piuttosto di parlare e sembrare una bambina fissata su alcune cose, reputate fuori dalla norma da qualcuno con cui non mi sento pienamente a mio agio o con cui voglio fare bella figura.
Ci sono poche persone con cui parlo liberamente, sono solo coloro che so che non mi giudicheranno oppure che rispetto, a cui voglio bene, con cui mi sento a mio agio, senza dover stare attenta a ciò che dico.
Parlavo spesso di tutto ciò che mi passava per la testa soprattutto con mio padre. Lui è stato il primo a sapere che mi piacciono anche le ragazze. Al tempo pensavo che potesse capirmi e mi supportasse pienamente, ma ho scoperto che, anche se mi vuole lo stesso bene, era ed è ancora in difficoltà. Ogni volta che ho avuto una ragazza mi ha incoraggiata a lasciarla per “fare altre esperienze”.
Adesso non gli parlo più come prima, mi sono pentita di averlo fatto, per come mi ha risposto quando gli ho confessato ciò che pensavo.
Ultimamente sento di non riuscire a parlare con nessuno, cerco di tenermi i miei problemi dentro, poi, però esplodo troppo velocemente e scarico tutto alla prima persona che si offre di ascoltarmi. Succede sempre: non riesco a parlare, poi scoppio in una crisi di pianto, soprattutto per cose vecchie, quindi dico troppo con il primo che capita.
Spesso mi convinco che dev’essere così perché io sono diversa, perché non sono una ragazza normale, come quelle un po’ stereotipate che si vedono nei film, molto curate, sempre adeguate e che fanno parte di un gruppo. Io non mi sono mai sentita normale e ogni giorno penso che vorrei tanto esserlo, quindi mi impegno ad apparire e parlare come i miei compagni di classe e tutte le persone, anche se mi sento diversa.
Credo in continuazione di dover cambiare per gli altri, per evitare argomenti tabù, per far vedere che non sono strana o da emarginare, perché tutto ciò che voglio è sentire che appartengo a qualcosa. Vorrei tanto sentirmi parte integrante di un gruppo, perché per quanto dico che le persone sono difficili da capire e penso di non voler avere nulla a che fare con loro, desidero tanto avere la loro approvazione e sentirmi normale come loro.
A volte penso: chissà quante altre persone fanno come me? Probabilmente sono molto più vicine di quanto io possa immaginare.

Foto di Zeno Rigato

 

 

Fossimo tutti innamorati

Carolina Russo, Microbi dal cuore grande

Totem e tabù. Zeno Rigato

Ognuno di noi, nel corso della propria vita, entra in contatto con alcune delle infinite manifestazioni dell’amore e, com’è naturale che sia, le percepisce in maniera del tutto intima e singolare.

Tuttavia penso che le numerose sfaccettature del sentimento amoroso possano essere facilmente distinte in due semplici tipologie: l’amore dell’individuo per l’umanità e l’intero sistema e l’amore dell’individuo per il singolo individuo, non necessariamente inteso in accezione romantica.Se la prima forma d’amore appare agli occhi dei tanti come la più altruistica del sentimento stesso, quello individuale tende invece a sembrare molto meno “utile” al sistema, quindi quasi da tenere per sé. Di conseguenza, l’aspetto comunitario di questo sentimento potrebbe per molti rappresentare il totem e quello individuale il tabù, specie se non ‘allineato’. Tale valutazione sarebbe solo il frutto di un’osservazione superficiale, in quanto entrambe le manifestazioni possono rivelarsi tanto sacre e condivisibili quanto contorte e solo intimamente comprensibili.Ogni relazione è in qualche modo permeata da una dose variabile di egoismo, non per forza nocivo, ma pur sempre in atto, per cui alla base delle nostre azioni c’è il desiderio di sentirci gratificati e di trovare una sorta di serenità interiore, desiderio difficile da ammettere. In realtà, anche ogni relazione tra le singole persone potrebbe avere un forte valore sociale.
Proviamo ad immaginare il mondo se ognuno mettesse in campo una sana quantità di rispetto e amore nelle interazioni di ogni giorno: non sarebbe un posto migliore? Gli stessi rapporti sentimentali vanno coltivati e curati in maniera ottimale, ma non solo, vanno valorizzati! Pensiamo, poi, ai bambini: se tutti fossero affiancati e cresciuti da genitori che si amano, probabilmente molte disfunzioni emotive non nascerebbero in loro. Dare valore ai nostri sentimenti e offrirli all’altro con consapevolezza può fare la differenza per il mondo, in quanto crea individui felici, soddisfatti e pieni, necessari alla comunità. Ahimè in generale, nella nostra società, l’atto di esternare il proprio sentire rappresenta ancora un forte tabù, probabilmente perché pensiamo che la condivisione di un aspetto così personale di noi ci renda in qualche modo vulnerabili agli occhi della massa, ma la forza dell’umanità è originata proprio dalla sua stessa dolcezza, talvolta fragile, talvolta capace di creare reti salde e preziose connessioni. Tutto parte dall’accettazione e dalla consapevolezza delle emozioni e dalla conseguente capacità di donarle e accoglierle in maniera sempre rispettosa all’interno di ogni contesto.
Quello che intendo dire con questo mio complesso ragionamento è che non è necessario fare rumore per muovere il mondo, non serve essere filantropi o realizzare grandi opere per fare la propria parte, basta riconoscere qualcosa di sacro anche nei legami più intimi e meno evidenti e capire che il rispetto degli altri e del nostro amore è l’atto sociale migliore che possiamo attuare.

 

La mafia era un tabù

Tessa Marconi, 5ASS, Istituto Flora

Foto di Riccardo Moretti

Qualche giorno fa, più precisamente lunedì 11 novembre 2024, stavo andando a Roma per partecipare alla presentazione del nuovo libro “Cinquant’anni di mafia”, organizzata dalla redazione di Antimafia Duemila tenutasi presso il teatro Quirino.
Eravamo più di 500, tutti con lo stesso scopo: sconfiggere ciò che, per molto tempo, è stato considerato un tabù, la mafia.
Forse è stata la paura a rendere questo sistema di potere che vuole ottenere un grande controllo territoriale un argomento poco discusso. Quando si parlava di mafia era come se si stesse dicendo qualcosa di proibito, come se ci si sporcasse la coscienza, come se si stesse sfidando un’organizzazione talmente forte da non guardare in faccia nessuno, come se fosse la cosa più pericolosa da fare. Potendo considerare la mafia uno dei più grossi problemi presenti nel nostro paese, spetta a noi agire in modo concreto per cambiare le carte in tavola.
Per mettere in pratica quanto appena detto, io faccio attivismo e sostanzialmente opero in due modi: attraverso la divulgazione, in maniera occasionale, come nel caso della stesura di questo piccolo articolo, oppure partecipando a manifestazioni per sostenere magistrati, avvocati e giornalisti che, in prima persona, lottano per portare alla luce i fatti mafiosi, oltre che per sostenere le vittime.
Credo molto nella partecipazione attiva perché la conoscenza e la consapevolezza non sono sufficienti a far fronte a fenomeni come questo.
Tra il sapere e l’agire vi è un grande abisso in quanto la tendenza più diffusa è quella di lasciare che gli altri facciano qualcosa.
Bisognerebbe dunque lavorare sulla pigrizia e sul classico pensiero “uno in più o uno in meno non cambia, la mia presenza non farà la differenza”: se tutti ragionassimo così non ci sarebbero nemmeno quelle 500 persone, se tutti ci credessero, il numero potrebbe addirittura moltiplicarsi per 1000 e… quanto più facile diventerebbe abbattere il sistema mafioso?
Se i cambiamenti non avverranno subito almeno potranno avvenire in futuro e anche se non saremo più vivi, potremmo essere ricordati come eroi o addirittura come veri e propri modelli di totem.
Togliamoci dalla testa l’idea che è a partire dalle piccole azioni che si cambia il mondo perché per farlo ci vuole molto più impegno e molta più intraprendenza, che in pochi sono disposti a dare.
Le cose rischiano di degenerare sempre di piú, perciò la nostra umiltà e il nostro altruismo nei confronti del futuro e delle prossime generazioni emerge da queste scelte: se scegli di agire, sicuramente riuscirai a convincere qualcun altro che a sua volta consiglierà ad un’altra persona di fare lo stesso e via dicendo.
Non c’è nessun obbligo, è solo una questione di forza interiore che bisogna esternare.
Tutto ciò che faccio segue i valori dell’amore per il prossimo e per il paese, i veri ingredienti della ricetta intitolata “salvataggio del mondo”.