Blognotes 08
Blognotes 16

RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Verde indeciso

di Valentino Casolo

Il verde urbano. “Verde”: in questo caso non è un colore (come mi piacerebbe pensare), ma l’estensione del significato originale a insieme delle piante presenti in un centro abitato. Ma non voglio ingarbugliarmi con altre declinazioni di verde come quello “brillante”¹e rimanere sulla strada maestra di una città che, con le sue vie, frammenta i parchi e giardini, pubblici e privati; “scrigni della biodiversità” – di questi tempi c’è sempre qualche “scrigno di biodiversità”, nessun amministratore pubblico potrebbe farne a meno.

La storia del giardino nasce in Italia e quella del parco in Inghilterra, mentre quella del verde urbano si realizza in Francia grazie a Le Corbusier: architetto e Gilles Clément: prodromo del moderno paesaggista olistico. I due teorizzano gli estremi del verde urbano: la “Ville verte”² con i sui moduli abitativi immersi in un tessuto “naturale” e il “Manifesto del terzo paesaggio”³ che idealizza la pianta come espressione stessa della diversità biologica naturalmente inserita nel tessuto cittadino. Sinceramente io penso che entrambe le cose abbiano un qualcosa di stonato, il rinascimento e la mia friulanità mi spingono istintivamente verso una sorta di “ordine e pulizia” che – mi rendo conto – può sembrare un po’ nazista per coloro che teorizzano il “Flower Power”⁴ – una posizione acuita dal mio mestiere, che mi porta a preferire le piante che vivono negli ambienti estremi: lagune, rupi e praterie alpine ad esempio, dove l’azione manipolatrice dell’uomo, seppur presente e seppur indiretta, non è evidente.

Tutti gli ambienti naturali che conosciamo sono il frutto di una dinamica naturale dovuta proprio all’azione delle piante, mentre le città sono ambienti artificiali e le piante che vi crescono o sono piantate dall’uomo o sono ospiti che approfittano delle condizioni ecologiche date dalla città per inserirsi silenziosamente nel tessuto urbano. La presenza di elementi vegetali in città è una condizione che ci sembra ovvia per motivi estetici e ora necessaria per la funzione ecologica delle piante.

La funzione delle piante all’interno delle città è riassunta nei cosiddetti “servizi ecosistemici” che vanno dalla fissazione del diossido di carbonio (CO2), al garantire aree di ricreazione e tempo libero a coloro che frequentano parchi e giardini. Sono funzioni reali e ritenute necessarie al benessere dei cittadini. La cosa che potrebbe essere eventualmente valutata è la priorità dell’una o dell’altra. Ma non si tratta di fare graduatorie o mettere la crocetta su un questionario di “soddisfazione” o ancora un “like” in una finestra web di un “social”, ma di capire, a chi, a cosa e in che modo, il verde urbano è di pubblica utilità.

Fissazione del CO2. Tutte le piante operano la fotosintesi, trasformando il CO2 in carboidrati e rilasciando l’ossigeno molecolare (O2) necessario alla sopravvivenza di quasi tutti gli esseri viventi. Tramite la fotosintesi, le piante sottraggono CO2 all’atmosfera, una molecola che deriva dalla respirazione di tutti gli esseri viventi aerobici e dalla combustione di sostanze a base del carbonio, quali tutti i carburanti che conosciamo. Quindi, anche la pianticella più piccola tra le pietre di un selciato è molto utile. Tuttavia vi è un problema di scala. Infatti, la metafora del “polmone verde” riferito a un grande parco cittadino di una grande città è corretto, ma non si può dire lo stesso per una cittadina le cui campagne svolgono da millenni lo stesso ruolo in modo molto più efficiente ed equilibrato. Credo che sarebbe meglio evitare urbanizzazioni azzardate e capannoni dismessi, piuttosto che vantare la piantumazione di pochi alberi in pieno centro.

Protezione del suolo. Le piante, grazie alle radici, svolgono una protezione dall’erosione del suolo dovuta agli eventi meteorici e all’azione della gravità terrestre. Anche nei centri cittadini che presentino alture (Udine), fiumi, rogge o altri invasi (Pordenone) le piante svolgono un ruolo fondamentale grazie alle loro radici. Ma le radici hanno capacità di trattenimento del suolo in base allo stato di salute della pianta, alle caratteristiche dell’apparato radicale e all’idoneità ecologica a vivere vicino all’acqua. Siamo certi che tutte i consorzi verdi che piantiamo siano ecologicamente adeguati? Che le piante, spesso esotiche, possano sostituire quelle che naturalmente vivono lungo in nostri fiumi? In alcuni casi si, in altri no.

Habitat per altre specie. Ogni comunità vegetale a volte anche un unico individuo, come un albero di grandi dimensioni, può essere vero e proprio habitat e fungere da nutrimento, riparo e nicchia per la vita di mammiferi, rettili, uccelli, invertebrati, funghi. Senza dimenticare il ruolo nettarifero per le api. Ma anche in questo le comunità artificiali piantate dall’uomo non sono spesso adeguate alle esigenze delle altre specie indigene.

Quercia delle Checche, albero monumentale, 300 anni circa, in Val d’Orcia, comune di Pienza, Siena. Foto di Andrea Crozzoli

E pensare che il 67 % degli “Alberi monumentali” del Friuli Venezia Giulia sono specie esotiche, molto meno adatte di quelle indigene per ospitare uccelli e mammiferi. Per non dire delle invasioni biologiche favorite dall’uomo dove le comunità di piante esotiche si sostituiscono a quelle naturali.

Mitigazione del clima. Sicuramente le piante costituiscono nicchie microclimatiche utili alla vita di altre specie, ma questo ha ben poco effetto sulla cosiddetta “isola di calore” costituita dalla città, che, al contrario, riesce a definire un mesoclima diverso e più caldo rispetto al clima che incide sulla regione.

Ricreazione e tempo libero. Superfluo dire che molte attività ricreative e sportive si svolgono preferenzialmente all’aperto e la possibilità di evitare i gas di scarico e il rumore dei veicoli a motore (ma soprattutto i veicoli stessi) è quantomeno gradito se non essenziale per evitare che il benessere per l’attività ricreativa finisca per essere dannosa per la salute, se non pericolosa per la propria vita.

Funzione estetica. La percezione della “bellezza” è soggettiva, ma si basa anche sul riconoscimento di strutture naturali che danno la sicurezza biologica della sopravvivenza. Gli ominidi per milioni di anni hanno trovato nelle praterie e boscaglie cibo per sopravvivere. Ambienti che, negli ultimi millenni, sono stati sostituiti da Homo sapiens con un paesaggio rurale fatto di campi, prati, orti, siepi e sullo sfondo, la foresta. Per gli abitanti delle città il parco è la possibilità più prossima di ritrovarsi con la propria natura. Ma, anche in questo caso, mi chiedo se sia più importante piantare qualche albero in città oppure preservare le campagne contermini.

ciclamini della pedemontana avianese. Foto di Andrea Crozzoli

Quindi ogni pianta, forse inconsapevole della sua necessaria azione per gli altri esseri viventi, che viva tra i muri, sui marciapiedi, nei giardini, nei parchi o nei giardini, è importante per il benessere dell’uomo. Spesso gli esseri umani sono inconsapevoli del sistema di relazioni che intercorre fra la vita delle piante, la struttura delle comunità vegetali e quelle che riteniamo le nostre necessità. In conclusione noi cittadini non sappiamo scegliere tra una natura favorevole e altre opportunità alle quali non possiamo e non vogliamo rinunciare, quasi tutte dettate dalla vanità e dalla fretta.

1- S. Mancuso, Verde Brillante, sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, con Alessandra Viola,

Giunti, 2013

2 – Le Corbusier, Progetto la Ville Radieuse, Sans lieu, 1930

3 – G. Clément, Manifesto del Terzo Paesaggio,Prima Edizione Italiana, Quodlibet, 2005

4 – A. Viola, Flower Power, le piante e i loro diritti, Einaudi, 2020

5 –Ministero delle Politiche agricole. https://www.politicheagricole.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/15290