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I bimbi partiti. Incontri nei diversi campi di Grecia, Serbia e Bosnia

Virginia Di Lazzaro
I bimbi partiti. Incontri nei diversi campi di Grecia, Serbia e Bosnia

One, uno, jedan, yak,

two, due, dva,

tre…

Piccoli, oramai da qualche anno sulla Terra; terra molte volte bagnata. Non appena stendiamo un telo in mezzo al campo per sederci, arriva una bambina con la sua bambola arruffata dalle gambe spanate, poi un’amichetta di rosa infiocchettata un po’ infangata, subito dopo un fratellino con i capelli all’insù uscito a rotoloni dall’ultima tenda, appena svegliato anche se ormai è mezzogiorno e piano piano altri bimbi e altri ancora.

Di notte nelle tende non si dorme molto, si dorme quando fa mattino, quando gli “altri” bimbi vanno a scuola.

Sul grande telo di rafia verde e blu iniziamo sempre con un libro, meglio se di colori…

blu, blue, plava,

أحمر (‘ahmar),

pila, žuta, yellow,

poi un foglio,

due, tre e forbici, tape and markers per passare un momento assieme ai bimbi partiti. Si, bimbi partiti e non arrivati, bimbi e famiglie in viaggio, perché Bosnia, Serbia e Grecia non sono il punto d’arrivo. Gli anni nei quali dovrebbero andare a scuola sono passati così, un po’ in squat vicino a qualche confine prima di uno Stato e poi di un altro, un po’ in campi governativi lontano da tutto e da tutti e, all’improvviso, rimandati indietro a molti chilometri dal confine con l’Europa, lontano, per non tentare il “Game”.

Parlo, con due parole in farsi che conosco e tre in inglese, con la mamma del bimbo con i capelli all’insù, una dolce donna iraniana; mi dice che è molto dispiaciuta che suo figlio non vada a scuola, ma sono lì da pochi giorni. Vicino, più che si può, al confine comprendo la sua felicità nel vedere il bambino con un libro in mano. Nel leggere il libro, assieme al piccolo, non capisco realmente che lingua parli e ad un certo punto mi chiedo se davvero sia suo figlio e non mi sia confusa di mamma. Il piccoletto inizia a nominare gli animali in farsi misto arabo, poi in inglese, mescolando anche un po’ di spagnolo: l’arabo capisco l’abbia imparato dall’amichetto siriano con cui gioca sempre, la mamma dice che l’inglese l’ha ascoltato dai volontari che portano i beni di prima necessità e lo spagnolo probabilmente da qualche neodiciottenne volontaria spagnola che avrà canticchiato qualche canción infatil sobre los animales con lui. Lui, capelli all’insù, ha forse 3 anni ed è una spugnetta che assorbe tutto dove può e poi con un sorriso e qualche lentiggine sul naso sputa questo ricco grammelot fatto di tutte le lingue insieme.

Velika Klandusa novembre 2021. Disegno di Luca Gabrielli

L’abbraccio con il piccolo Erfan, 8 anni, un bimbo più grande e più timido, dalla faccia tesa e lo sguardo pensieroso. Per un secondo si scioglie nell’intuire che capisco un poco la sua lingua, veloce allora pensa di farmi un regalo: il suo nome scritto con orgoglio e la bandiera dell’Afghanistan, quel paese che sempre sarà un pezzetto di lui e che chissà quando rivedrà e con che occhi… سفر خوب Erfan!

Tutti con la penna a disegnare una stella! Ma l’inclinazione nell’usarla fa trasparire che non sia uno strumento utilizzato quotidianamente, nell’impugnarla non c’è quella sicurezza data dell’esperienza.

Nelle gradi strutture che ospitano tante famiglie non sempre i genitori vogliono che i loro bimbi seguano le attività comuni, spesso perché lasciarli giocare assieme, anche se seguiti, può voler dire guai. Se un bambino litiga con un altro bambino il rischio è che, in quelle condizioni di stress, anche un

padre litighi con un altro padre.

In queste situazioni di convivenza forzata si vogliono assolutamente evitare problemi a tutti i costi.

Le famiglie che abitano gli stessi spazi hanno stili di vita diversi, vengono da storie e luoghi diversi e, probabilmente fuori da quel contesto, non si frequenterebbero mai.

L’iscrizione alla scuola locale è un altro grosso problema.

Le organizzazioni che gestiscono i campi sono tenute a invitare le famiglie ad iscrivere i bambini alla scuola statale, ma ben poche famiglie accettano. Per le famiglie iscrivere i loro piccoli a scuola significa soprattutto psicologicamente “fermarsi lì” e sospendere la speranza di partire, un fallimento.

Gente partita,

gente che non

si ferma, gente che non è arrivata.

Quando arriviamo?

Quanto manca?

Il quanto manca è la condizione di tutti i partiti, non solo dei bambini.

I giovani che sono passati, attraversando boschi e montagne con giorni di cammino nelle scarpe, scampando dalla polizia croata per arrivare in Europa, ancora si chiedono: “Quanto manca? Quanto manca per il documento? Quanto manca per sistemarmi?”. Questa gioventù che, nel partire, vedeva l’Europa come “il destino” immaginandola lontana, unitaria e monolitica ha scoperto, nel percorrerla in lungo e in largo, tutte le sue fragilità e ha imparato ad abitare tutte le crepe e le sue contraddizioni. È la generazione dalle mille lingue che comprende alcuni aspetti contraddittori molto meglio di noi europei. Ragazzi ventenni che dopo aver passato due anni in Germania, in Norvegia o in Svezia andando a scuola, lavorando e inserendosi nel tessuto sociale grazie agli investimenti stessi di questi stati, hanno visto la loro richiesta d’asilo definitivamente negata. Per evitare di finire su di un volo per il rimpatrio coatto e ritornare al punto di partenza molti hanno riprovato a chiedere asilo in Italia in Francia o in Spagna con “Dublino1 sul collo”.

Alle volte il tutto si sblocca in tempi brevi, in un modo o nell’altro (dando la possibilità di iniziare nuovamente l’iter della richiesta d’asilo o con il foglio che invita a ritornare nel primo paese europeo di competenza), purtroppo spesso oltre alle lungaggini, il meccanismo ci inceppa e i loro nomi vengono dimenticati per molto tempo in qualche archivio vivendo per anni una condizione di instabilità attendendo notizie o attendendo da un momento all’altro l’arrivo di una lettera che potrebbe comunicargli: devi lasciare il paese.

La pressione psicologica data da questa instabilità porta molti a non investire nell’apprendimento della lingua e nell’istruzione attendendo come parcheggiati e disillusi, a volte per anni, che si sblocchi la situazione.

Dopo aver imparato una seconda o terza lingua, aver iniziato un lavoro, trovato nuovamente amici , conosco giovani che da anni si spostano da un posto all’altro tentando e ritentando…

Quanto manca ?

quanto manca per il documento?

quanto manca?

1 La Convenzione sulla determinazione dello stato competente per l’esame di una domanda di asilo presentata in uno degli stati membri della Comunità Europea, comunemente conosciuta come Convenzione di Dublino, è un trattato internazionale multilaterale in tema di diritto di asilo.