Occhi vividi e curiosi, parlata veneta, stretta di mano generosa, sguardo diretto.
Giovanni profugo non è perché è nato in un paesino del trevigiano nel 1945. Le vicende del confine orientale lo hanno sempre intrigato molto, ha studiato e stretto amicizie con alcuni ex collegiali figli dell’esodo. Ha pubblicato un primo libro nel 2011 “Nomade per scelta” in cui racconta la sua esperienza umana e professionale di operaio prima e sindacalista poi. Incuriosisce la scheda di presentazione di un suo nuovo libro in fase di pubblicazione “Oltre i confini”.
Ci incontriamo in un bar al confine tra Veneto e Friuli: arriva con un pacco di foto stampate di luoghi e persone che sono all’origine del nuovo libro. Sono: “foto dell’ospedale Huaycán vicino a Lima, costruito con i contributi volontari dei donatori italiani e sammarinesi con la Fondazione Solidarietà e con il contributo del Fondo Italo Peruviano, tanti donne e uomini locali al lavoro. Qui nel Kurdistan Iracheno, con l’associazione Cooperazione Sviluppo ACS di Albignasego, Padova, dove abbiamo iniziato a operare nel 1993 dopo la guerra del Golfo; qui insieme ad altre associazioni (la I.B.O. di Ferrara) con cui abbiamo portato avanti i progetti di istruzione dei bambini rom di Panciu, in Romania. Si va dal ’93 fino all’ultimo viaggio, fatto nel 2013, ma i progetti continuano lì: vedi qui, vicino a questo ragazzo kurdo, c’è un altro kurdo che sono io, qualche chilo di meno… Questa è suor Goretta Favero, grandissima persona!” Sono foto parlanti.
Quali sono stati, Giovanni, gli incontri che ti hanno portato a scrivere un altro libro?
Frequentare i corsi del Dipartimento di Storia dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, in particolare storia orale con i professori Casellato e Zazzara e poi l’incontro con Franco Bentivogli, all’epoca segretario generale FIM-Cisl, il mio mentore. Ho fatto una scuola professionale e poi ho lavorato e fatto esperienze in diversi campi ma non ho fatto l’Università. Questi corsi all’università avevano per tema il lavoro ed erano rivolti agli studenti ma anche aperti ai lavoratori. Li ho frequentati con mia moglie e altri ed è stato bellissimo! Sentivo il bisogno di avere strumenti per fare un’analisi, per capire il perché della mia vita inquieta, complessa, sempre alla ricerca di problemi locali, nazionali, internazionali in cui coinvolgermi.
Un altro incontro/stimolo è stato il bisogno di raccontare al sindacato le storie vissute. Nelle strutture sindacali, in cui ho lavorato per tanti anni, tutto era burocratico, precostituito, i problemi erano sempre altri. Ma io ho cominciato a raccontare loro cosa avevamo fatto nel Kurdistan iracheno e in Perù con l’associazione ACS di Albignasego con progetti della comunità europea perché l’Italia non ci sosteneva per niente allora. Erano gli anni ’90 del secolo scorso e i soldi della cooperazione internazionale erano finiti, spesso in scandali! Nel Kurdistan abbiamo costruito case e scuole dando lavoro, in regola, ai locali, formando operatori sul posto, ragazze e ragazzi che oggi sono diventate dirigenti e lavorano ancora”.
Fra tutte le persone che hai conosciuto, Giovanni, quali ti han lasciato traccia?
Suor Goretta Favero, che vive vicino a Lima in una baraccopoli, da prima degli anni ’80, e Padre Gaspare Margottini, di Roma, che vive a Huancáio sulle Ande ed è il coordinatore dei vari progetti che abbiamo lì, tutti collegati, di cui alcuni ora si autofinanziano: salute, istruzione, assistenza ai malati terminali, asili nido, produzione di farmaci naturali, ospedale, scuola di taglio e cucito, convitto e scuola per adulti.
Hai citato soprattutto religiosi…
Rincalza: “Ma questi sono religiosi che non hanno grandi rapporti con la Chiesa ufficiale, assolutamente laici nel modo di lavorare.
Un altro incontro fondamentale è quello con gli immigrati di cui mi sono occupato fin dalla fine degli anni ’80, ai tempi della legge Martelli. Mi colpisce la mancanza di analisi sull’immigrazione, anche nel sindacato. Mi sono letto le cose di Hannah Arendt su questo argomento e tira fuori il libro Noi rifugiati del 1943, tutto sottolineato. Ne legge delle frasi: … Gli immigrati arrivano, vengono messi nei campi di concentramento dai loro nemici, di internamento dagli amici…I rifugiati sono quelli che non possono più tornare a casa propria e non riescono a trovarne un’altra… La novità non sta nel venire espulsi ma nel non essere più accolti …Secondo la convenzione di Ginevra (1951) sono ospiti, non nemici… Nel sindacato eravamo pochi a occuparci di questo problema. Solo adesso il sindacato si occupa dei migranti, perché li tesserano e fanno loro le pratiche, ma ancora manca la cultura”.
“Un altro incontro importante – aggiunge – è stato quello con il Covid 19, il lungo periodo di quarantena mi ha spinto a leggere e ripensare alle molte esperienze vissute. Sentivo il bisogno di lasciare tracce, testimoniare ai miei figli, nipoti che il lavoro con gli studenti, gli anziani, i tossicodipendenti e i pazienti psichiatrici, le associazioni di volontariato, le persone portatrici di handicap, la cooperazione internazionale in Kurdistan, Palestina, Siria, Romania, Peru…sono per me l’unico modo per fare eticamente il sindacalista. E questo per certi aspetti, è ancora “oltre il confine”.
I proventi della vendita di questo libro serviranno a sostenere i progetti della Fondazione Solidarietà.