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Gian Paolo Thanner. Arte popolare nel cinquecento

Enzo Marigliano, medievalista
Gian Paolo Thanner. Arte popolare nel cinquecento

Capita allo storico di trovare per caso pubblicazioni dimenticate o – a torto – considerate “minori”. È quanto m’è accaduto incrociando la vicenda umana e l’opera artistica d’un personaggio del ‘500 «friulano – carnico» che, senza alcun dubbio, e molto probabilmente anche con sua stessa piena coscienza, non rientra nel novero dei “grandi” artisti friulani o veneti del suo tempo (Pomponio Amalteo, il Pordenone, Pellegrino da San Daniele, Giorgione, Tiziano…). Insomma: un “minore” che, tuttavia, seppe interpretare con sguardo popolano e popolare la realtà in cui visse: Gian Paolo Thanner.

Mi sono imbattuto in lui tramite un agile e ben costruito libretto: «Sulle vie del Thanner. Itinerari alla scoperta di tesori d’arte nelle chiese del Friuli centro – orientale».

L’operetta (135 pagine, stampata nel 2009) s’avvale dei testi di Federico Bincoletto e delle foto a colori, molto ben curate, di Giorgio Bianchi, Roberto Geretto e Severino Zanin, quest’ultimo anche autore delle ricerche d’Archivio, il tutto edito, sobriamente ma con curata eleganza, dalla Pro Loco “Gio Batta Gallerio” di Vendoglio (Treppo Grande). Una produzione, dunque, tutta friulana che, a mio parere, ha il grande pregio di collocarsi a metà strada fra il saggio storico – artistico e la guida turistica ad uso di quanti fossero interessati a riscoprire le tracce di quest’artista che punteggiano le Valli del Torre, le Colline moreniche e la Valle del Natisone. L’interesse subito suscitatomi dal testo non si ferma a questo quadro d’assieme che, pure, offre uno scenario a tutto tondo dell’opera del Thanner. I curatori, infatti, si sono cimentati anche in un’impresa raramente offerta agli studiosi di storia dell’arte: l’individuazione d’opere non attribuibili con certezza al nostro ma frutto d’emuli che, inconsapevolmente, diedero luogo ad una sorta di “scuola” che seguì ingenuamente le caratteristiche del Thanner, contribuendo da un lato a diffonderne la conoscenza, dall’altro a confondere le acque sull’attribuzione delle sue vere opere.

Ma per capire è indispensabile partire dalle radici.

LA DISCUSSA EREDITÀ PATERNA

Il padre, Leonardo, intagliatore del legno e mediocre pittore, nacque a Landshut (Bassa Baviera) nel 1440 ove si formò artisticamente subendo l’influenza delle famose scuole d’intaglio di Ratisbona. Le prime opere a lui attribuite datano 1464. Abitò ad Udine e Cividale ove morì attorno al 1500 proprio a casa del figlio Gian Paolo. Come pittore, fu  definito “…disinvolto…”: gli sono state attribuite opere il cui stile viene apparentato a quello di Tommaso da Vilach, Andrea di Bortolotto detto il Bellunello (1435 ca. – 1494 ca) e Gianfrancesco del Zoto da Socchieve più noto come Gianfrancesco da Tolmezzo. Le opere d’intaglio, talune più che dignitose, si rintracciano sparse tra pievi e Chiesette isolate come S. Silvestro di Premariacco, Gemona e Tarcento.

L’unica opera affrescata degna di nota a lui attribuita e tuttora visibile è la decorazione della volta del coro della Chiesetta di S. Spirito a Chiusini di Arta Terme. Eppure anche come intagliatore il giudizio espresso dal Marchetti nel 1957 lo colloca ugualmente in posizione defilata rispetto alle novità del tempo poiché: “…appare strettamente legato agli schemi gotici delle botteghe d’intaglio ratisbonesi, in maniera ancora fortemente stilizzata e tipizzata…” . L’influenza che determinò nella formazione del figlio fu decisamente ambivalente: come intagliatore, ove forse avrebbe potuto offrirgli maggiori spunti, si limitò alla mera riproposizione della tradizione, ed infatti il figlio non si impegnò eccessivamente in quest’ambito; come pittore, ove il figlio dimostrava invece una maggiore propensione, non seppe dargli alcuno sprone, probabilmente perché non ne comprese fino in fondo le vere inclinazioni.

GIAN PAOLO: UN SUCCESSO POPOLARE E POPOLANO

Gian Paolo Thanner spesso firmò “Zuan Paolo” oppure “Ioannes”, a volte persino storpiando il cognome in “Tonnar o Tonero”, il che rese per molto tempo ardua l’attribuzione dei suoi lavori. Altre volte si firma correttamente, per cui non si riesce a comprendere la ragione di tale ambiguità nella scelta. Nacque nel 1475, certamente in Friuli ma non sappiamo in quale località. Risulta domiciliato a Cividale nel 1501, dal che potremmo dedurre che ereditò la bottega paterna seguendone le orme dopo la morte. Nel 1510 lo si ritrova registrato a Tarcento ove, avviata un’attività autonoma, si sposò. La sua vita è destinata ad un rapido mutamento  in positivo paradossalmente a causa del rovinoso terremoto del 1511 che gli assicurò le prime commissioni nelle borgate limitrofe, tutte realizzate fra il 1512 ed il 1520: Segnacco, Magredis, Racchiuso, Monteaperta. È assai probabile che la diffusione della fama sia dovuta a due fattori concomitanti: l’efficienza e la richiesta di remunerazioni ragionevoli. Sue opere sono visibili in tre chiese della zona di Caporetto, altrettante tra  Premariacco e dintorni, ben cinque nell’area di Tricesimo  ed una a Buttrio, il tutto in un arco di tempo che va dal 1520 al 1560. Una capacità lavorativa notevole, dunque, tanto che taluni studiosi hanno voluto ipotizzare che si fosse circondato di assistenti e lavoranti, creando una sorta di “scuola itinerante” veicolo di diffusione in tutto il Friuli centrale d’un modus operandi che è improprio, però, definire “stile Thanner”. Eppure tale ipotesi, pur priva di documentazioni, non è da scartare a priori, se si considera ch’è stato accertato che sia il figlio Francesco (1520 – 1580) che il nipote Giovanni (1540 – 1610) svolsero lo stesso mestiere realizzando opere decisamente “simili” nello stile, ma di minor fattura, che si riscontrano, in buona parte della bassa friulana: Variano, Pozzuolo, Palazzolo dello Stella, Mereto di Capitolo, Varmo e Flumignano.

Stando ad alcuni rogiti notarili, sembra che Gian Paolo si sia cimentato anche nell’arte dell’intaglio conseguendo, però, risultati neppur paragonabili a quelli paterni e solo negli ultimi anni di vita ridusse l’attività realizzando pale d’altare di cui ci restano oggi esempi a Ronchi di Torreano e Ribis, ed almeno una citata come commissionata ma forse andata dispersa, ad Artegna.

Nel 1555, ormai ottantenne, dipinse sulla parete del coro della parrocchiale di Vendoglio una Crocifissione che lo storico Rizzi giudica: «…per la sua sicura impaginazione rinascimentale, come per la dosata partitura cromatica …tra i migliori affreschi del cinquecento del Friuli centro – orientale» .

La verità è che per chi volesse percorrere, tappa per tappa, l’intera produzione artistica tanneriana, il volumetto citato in apertura si rivela indispensabile. Non solo offre un capitoletto sulla cronologia delle opere, utile ad orientare coloro che volessero interessarsi alla parte evolutiva della formazione artistica di Gian Paolo, ma opportunamente si sofferma anche sui soggetti e temi prevalenti nella sua produzione il che consente di cogliere anche gli aspetti ripetitivi, oggi diremmo quasi “seriali” della sua opera svelandone, in tal modo, anche le criticità formali e sostanziali che contribuiscono a collocarlo nella seconda fila degli artisti del tempo, questione su cui torneremo. L’aspetto più utile della pubblicazione è la suddivisione in tre filoni, con tanto di cartine e percorsi, ciascuno dei quali corrispondente ai luoghi ove sono ancor oggi reperibili e visitabili le attività tanneriane, offrendo per ciascuna delle chiesette anche le principali immagini di riferimento, le strade per raggiungerle ed i riferimenti telefonici per poterne chiedere la visita. Insomma: una vera e propria guida turistica di notevole utilità pratica per ripercorrere gli itinerari che videro operare Gian Paolo.

Mi permetto di suggerirne una nuova edizione, auspicabilmente con qualche aggiornamento sul piano della lettura critica accanto alla pubblicazione d’immagini in formato più ampio, in grado di coglierne le peculiarità, peraltro citate nei testi a commento e poi, purtroppo,  non perfettamente visibili nell’apparato iconografico. Sono certo aprirebbe la strada ad una messe di ricerche e ad un dibattito qualitativo che, grazie alle nuove ricerche, darebbe nuova luce all’insieme delle opere tanneriane.

UN  GIUDIZIO CRITICO CHE NULLA TOGLIE ALL’ESIGENZA D’UNA RILETTURA E RIVALUTAZIONE

Come s’è detto in un certo senso le fortune artistiche di Thanner traggono origine dai devastanti effetti del terremoto del 1511 – che, detto per inciso – sembra sia stata di magnituto assai simile a quello del 1976 – in quanto la ricostruzione delle opere di culto nell’area carnico – centro friulana, interessarono per la maggior parte dei casi Chiesette non solo di modeste dimensioni ma soprattutto tali da essere state erette con una struttura quasi identica l’una all’altra: coro quadrato o in rari casi poligonale, coperto da volta a crociera costolonata, arco a sesto acuto, aula piena con travatura lignea aperta e visibile ai fedeli. Potrà apparire paradossale, ma la ripetitività di tale tipologia edificatoria consentì all’artista di operare sviluppando immagini in serie alle quali apportava poche varianti di volta in volta, di luogo in luogo: la critica più veemente che gli viene rivolta. Tutti gli storici, in specie quelli dell’arte, sono concordi nel ritenere tale schema la riproposizione “tout court” del classico tema tardogotico ampiamente circolato in regione grazie all’attività itinerante dei “pittori tolmezzini”, il cui maggior esponente fu senz’altro Gianfrancesco da Tolmezzo. Quanto al contenuto, il giudizio critico, unanime, va ripreso proprio dal libretto da cui ho preso le mosse, in quanto parte dal presupposto che “…anche un occhio inesperto s’avvede subito della distanza qualitativa che separa Thanner dai “mostri sacri” della sua epoca…Il linguaggio, aulico ed ineccepibile, dei grandi del ‘500 friulano, adatto alle volontà rappresentative delle grandi istituzioni civili e religiose nelle principali città della Patria, gli è lontano… il Thanner sembra parlare un’altra lingua, o meglio, un altro dialetto, quello del popolo minuto, delle campagne, al cui immaginario religioso egli dà forma…Il mondo naturale  e quello soprannaturale vengono messi in scena sulle pareti…..protagonisti […diventano…] i figuranti, i loro visi, gli abiti che indossano: sono gli uomini, le donne, i nomi, i volti che il maestro vedeva attorno a se ogni giorno, fissati per sempre sul muro per noi che, quasi 500 anni dopo li contempliamo con affetto e riconoscenza”.  E non è forse, oggi, questo, un pregio più che un demerito? Che ne sapremo noi del popolo minuto se tutto fosse solo rappresentato dall’iconografia dei ricchi e per i ricchi?

La Santissima Trinità-Tricesimo
“La Santissima Trinità” nel salone d’ingresso del Casatello Valentinis di Tricesimo (1530 circa). Da notare il Padre Eterno entro una mandorla smagliante dal cui volto si diramano i tipici raggi “serpentiformi” caratteristici dell’opera del Thanner. Il medesimo soggetto è stato trattato a Magredis (1518), Ramandolo (1534) e Primulacco (1544)

Peraltro va detto che Thanner esprime anche qualche guizzo di genialità, come ad esempio l’utilizzo per le figure di Santi o di Cristo dei “raggi serpentiformi” (Chiesa di S. Giuseppe a Laipacco di Tricesimo) che ne fanno un unicum, quasi una firma, nel panorama artistico cinquecentesco; oppure un San Pietro che stranamente regge una duplice chiave che taluni hanno voluto identificare nell’apertura oltre che del Paradiso anche del Purgatorio (Oratorio di S. Pietro a Magredis di Povoletto). Modi di rappresentare “l’aldilà” e “l’aldiquà” in una visione multiforme, ancora indecisa su come e dove collocare Paradiso, Purgatorio ed Inferno .

"San Pietro con doppie chiavi in mano" parete dell'Oratorio di S. Pietro Apostolo (1518) a Magredis di Povoletto
“San Pietro con doppie chiavi in mano” parete dell’Oratorio di S. Pietro Apostolo (1518) a Magredis di Povoletto

È solo un esempio; altri potrebbero essere fatti.  Ecco perché, da storico medievalista che incontra l’arte del tempo come una componente dei propri studi, sono convinto che una rilettura dell’intera opera del Thanner andrebbe rifatta proprio alla luce dei più organici e recenti studi emersi non solo sui grandi nomi dell’arte coeva locale ma, più in generale, sulla collocazione da assegnare ai cosiddetti “minori” nell’ambito complessivo della produzione artistica di tutta la fase iniziale e centrale del rinascimento italico, che diede, anche tramite loro, un colpo definitivo al pur complesso ed affascinante mondo antecedente della produzione figurativa ed iconografica del medioevo.