Blognotes 08
Blognotes 15

INCERTEZZA è il tema del numero più recente di Blognotes 15

Articolo presente in

Caffè Trieste San Francisco dove è stato immaginato il futuro

di Roberto Bonzio

SAN FRANCISCO

Una caffettiera, su una bizzarra insegna tricolore, all’incrocio di una ripida strada di North Beach, quartiere italiano di San Francisco. All’interno, un affresco con una scena mediterranea e barche di pescatori, un juke box d’epoca, foto di ospiti illustri alle pareti, tra loro star italiane in trasferta, da Gianni Morandi a Luciano Pavarotti. E quella di un giovane, aitante, davanti a una macchina espresso. Era il 1956 quando Gianni “Papa” Giotta, classe 1920 nato a Rovigno, emigrato negli Usa nel 1951, col suo caffè  divenne il “Pioniere dell’Espresso della West Coast”.

Possibile che quel  locale dall’atmosfera retrò.… sia stato incrocio di personaggi storici capaci di  rivoluzioni culturali, dall’arte all’impegno civile alla scienza, non solo negli Stati Uniti ma… in tutta la società occidentale?

Benvenuti al Caffè Trieste di San Francisco.

Caffè Trieste. Interno

“Papa” Giotta se n’è andato nel 2016 ma non l’ho mai dimenticata, quella lunga telefonata nel 2008: gentilissimo, sfornò un’interminabile serie di ricordi sulla sua “creatura”, i sabati dedicati a sessioni musicali suonando e cantando assieme alla famiglia…

In una città oggi costosissima, soffocata dalla ricchezza generata da Silicon Valley, Caffè Trieste è l’icona storica di una San Francisco che non esiste più. 

North Beach a ridosso di Chinatownnegli anni Cinquanta era il quartiere bohémienne popolato da intellettuali, artisti, esuli. E il Caffè Trieste era il locale prediletto dei “poeti maledetti” che lì si ritrovavano, discutevano, leggevano i propri versi. Uno di loro se n’è andato nel 2021, poco prima di compiere 102 anni. “Papa Gianni” lo chiamava affettuosamente “Lorenzo”. Era il patriarca della Beat Generation, dal nome italiano: Lawrence Ferlinghetti. 

In un’America potenza mondiale ossessionata dall’incubo della guerra atomica e la paura del comunismo, diventata scomoda, conformista e oppressiva per migliaia di  giovani irrequieti e sognatori, furono scrittori e poeti di quella Beat Generation come Jack Kerouac, Gregory Corso (madre abruzzese) e Allen Ginsberg a dar voce a quel profondo disagio. 

In quel 1956 che vide aprire il Caffè Trieste, Ferlinghetti, poeta e attivista che gestiva una piccola libreria e casa editrice, City Lights (oggi luogo storico) pubblicò il lavoro di un giovane poeta destinato a entrare nella storia “Urlo” di Allen Ginsberg. Imputati entrambi per oscenità, la sentenza  che li assolse divenne precedente storico contro la censura, stabilendo che non potesse considerarsi  oscena un’opera che contenesse anche “il più debole valore sociale edificante”, trasformando Ginsberg in icona della “cultura underground”, che ispirò nel decennio successivo contestazione studentesca e movimento hippie. 

Sì ma quel tipo con la barba in quelle vecchie foto stinte sul juke box… non è Francis Ford Coppola? E’ proprio lui a poco più di trent’anni, con quaderno e registratore… al tavolino dove ora sono seduto io, il regista ha scritto l’intera sceneggiatura di ”Il Padrino”, pietra miliare di un’altra rivoluzione: quella della New Hollywood.

La Beat Generation aveva dato voce a una generazione ribelle, jazz e rock ‘n roll ne erano colonna sonora. Hollywood invece a metà anni Sessanta era un gigantesco carrozzone in bilico sul precipizio, dissanguata da debiti di studios e kolossal costosissimi, incapace di cogliere i nuovi fermenti. Che fecero capolino in due film assai diversi, Il laureato (1966) e Gangster Story (1697) prima del vero “terremoto” nel 1969: Easy Rider, ottimo cinema a basso costo, un enorme successo e premio a Cannes, diretto da Dennis Hopper, fra gli interpreti assieme a Peter Fonda e Jack Nicholson. All’improvviso la rivoluzione sullo schermo trovò nuovi leader in giovani cineasti ispirati da Nouvelle Vague francese e Neorealismo italiano, che adoravano Fellini e Antonioni. Con George Lucas, Peter Bogdanovich, Robert Altman, Steven Spielberg, molti artisti con origini italiane, da Michael Cimino a Martin Scorsese, per non parlare di Robert De Niro

Figlio di immigrati di Bernalda (Matera), dove oggi è proprietario di un hotel di lusso, a pochi passi dal Caffè Trieste nel bellissimo Sentinel Building, edificio verderame in stile Art déco, Coppola ha insediato la sua società di produzione American Zoetrope. Diventato ricchissimo, aveva pure rilanciato la scena underground nella Bay Area, acquisendo una vivace testata, City of San Francisco, che consacrò come nuove star della controcultura un bizzarro gruppo di giovani scienziati dall’apparenza hippie: il Fundamental Fysiks Group

Docente di Fisica al MIT di Boston, David Kaiser ha ricordato in un piacevole saggio, ”Come gli hippie hanno salvato la fisica”  che quegli eccentrici scienziati immersi nelle tensioni della controcultura, tra misticismo orientale, LSD, telepatia, da pionieri della fisica quantistica recuperarono l’intreccio fra ricerca scienza e filosofia di geni come Albert Einstein e Niels Bohr, che conflitto mondiale e Guerra Fredda avevano mortificato, piegando la ricerca alle esigenze belliche. In quegli anni Settanta, il Caffè Trieste era stato ribattezzato “Caverna di Jack” (parafrasando la celebre Caverna di Platone)… perchè proprio lì teneva lezioni aperte di fisica il leader di quel gruppo!

Classe 1939, pizzetto e sguardo fulminante, Jack Sarfatti abita ancora a North Beach e con un colpo di fortuna, sono riuscito a incontrarlo. Scoprendo le sue radici (ebree sefardite), la sua parentela con Margherita Sarfatti (cugina del nonno), intellettuale, mentore, biografa e amante di Mussolini, la sua esperienza di ricercatore (sui mini buchi neri) a Trieste, al Centro internazionale di fisica teorica Abdus Salam. E la cosa più curiosa… se pochi oggi ricordano Jack, tutti conoscono la figura di culto del cinema, a lui ispirata: “Doc”, lo stralunato dottor Emmett Brown dei viaggi nel tempo, di Ritorno al futuro di Robert Zemekis (1985).

A San Francisco, per un viaggio nel tempo, non serve la leggendaria DeLorean del film. Basta un espresso. Tra avventori che lavorano al computer, leggono un libro o suonano il mandolino. A un tavolino del Caffè Trieste, dov’è stato immaginato il futuro.

“Ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate  nude isteriche trascinarsi

per strade di negri all’alba in cerca

 di droga rabbiosa…”.                                                                                             Howl (Urlo) di Allen Ginsberg

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Caffe Trieste.Ida Pantaleo Zoubi-nipote di Gianni-Giotta. Foto di Roberto Bonzio