Percorrendo le vie dell’odierno abitato di Aquileia non è raro vedere meridiane dipinte sulle pareti esterne delle case, che sembrerebbero contrastare con la moderna tecnologia e con le sempre più raffinate tecniche di misurazione del tempo ma, come ben noto, l’uso delle meridiane risale all’antichità.
Un esempio interessante è custodito al Museo Archeologico Nazionale del centro altoadriatico, dove si conserva una lastra in pietra calcarea d’Aurisina, trovata nel 1878 nel fondo Cassis alle Marignane, nell’area del circo romano, in cui è inserita proprio una meridiana, con l’indicazione del tragitto del sole e – all’interno di due cerchi concentrici – l’elenco dei nomi dei venti. Esso è stato datato generalmente al II secolo d.C. e un’iscrizione dichiara che fu voluto da un non meglio conosciuto Marco Antistio Euporo.
In questa sorta di antico orologio-calendario ad impianto orizzontale si distinguono undici linee orarie e tre che indicano gli equinozi primaverile e autunnale, il solstizio invernale e quello estivo. I venti sono otto e precisamente l’aquilo (maestrale), il septentrio (tramontana), il boreas (grecale, o bora), il desolinus (levante), l’eurus (scirocco), l’auster (australe), l’africus (libeccio) e il faonius (zefiro), il cui posizionamento corrisponde quasi integralmente ai dettami di Vitruvio.
Alcune caratteristiche della lastra come il bordo rialzato, la pendenza e il foro per lo scorrimento e la raccolta di liquidi fanno supporre anche un possibile altro uso del manufatto come suggeriscono alcuni studiosi.
Se la meridiana è uno strumento di misurazione del tempo inteso come percezione della successione degli eventi, è il grande patrimonio documentario fornito da migliaia di iscrizioni sepolcrali pagane e da molte centinaia cristiane di Aquileia che ci consente di conoscere tanti dati interessanti relativi al tempo terreno vissuto da quegli antichi abitanti e ai modi con cui essi denominavano giorni, mesi ed anni.
I cristiani dei primi secoli usavano generalmente il sistema classico di datazione romano, per cui i giorni del mese erano basati su tre date fondamentali: le calende (il primo), le none (il 5 o il 7) e le idi (il 13 o il 15). Così la giovane Ursa visse solo 15 anni e morì 6 giorni prima delle calende di agosto, ossia il 27 luglio.Solo dal pieno V secolo e non dappertutto si cominciò ad usare sporadicamente il computo progressivo dei giorni, che adoperiamo anche oggi. I nomi dei mesi latini, invece, sono in fondo quelli che usiamo ancora attualmente, per lo meno in italiano, mentre relativamente in pochi casi sono specificati anche gli appellativi dei giorni della settimana in cui avvenne il decesso, come nella lapide del piccolo Vitale di Aquileia, vissuto più o meno 4 anni e morto un lunedì 16 aprile del pieno IV secolo.
A questo proposito, nei testi cristiani solo a partire dal V-VI secolo si cominciano a sostituire alle denominazioni tradizionali latine del sabato e della domenica (“giorno di Saturno”, dies Saturni e “giorno del Sole”, dies solis) le nuove denominazioni dies sabbati (giorno del sabato) e dies dominica (giorno del Signore), mentre gli altri cinque giorni della settimana mantengono l’appellativo latino, che ancora oggi continuiamo ad usare in italiano.
Per indicare l’anno, invece, fino al 541 si citavano abitualmente i nomi dei due consoli eponimi, in carica dal 1° gennaio. Conoscendo noi, tramite i fasti consolari, l’elenco completo di queste indicazioni, la menzione anche di uno solo di essi consente di datare precisamente un’iscrizione. Purtroppo, però, la percentuale dei testi provvisti di questa precisa cronologia in generale, e ad Aquileia in particolare, è molto bassa anche fra le lapidi cristiane, perché ai fedeli interessava semmai ricordare il giorno anniversario della scomparsa del loro caro (il dies natalis) più che l’anno, in cui era rinato alla nuova vita ultraterrena. Invece, l’avvento dell’era dalla nascita di Cristo comincerà a diffondersi in epigrafia solamente dal pieno Medioevo.
Nei testi funerari viene spesso specificato il tempo trascorso in questa vita, talora con grande precisione. Essendo il tasso di mortalità infantile molto elevato, le statistiche che si sono potute fare in base ai dati epigrafici aquileiesi hanno rilevato che la media dell’età vissuta fra IV e V secolo era di poco più di 23 anni, molto vicina a quanto già riscontrato in gruppi di iscrizioni pagane di Roma e di Tivoli.
Come dovunque, contribuisce ad abbassare notevolmente la durata media della vita degli aquileiesi il gran numero di fedeli morti a meno di 20 anni, mentre solo una decina di persone sono morte a più di 70 anni. Colui che visse più a lungo fu Fl(avius) Aparenta, che secondo una lapide perduta raggiunse la veneranda età di 99 anni; poco meno, 93 anni, visse un altro fedele, Recius Simplicius, ma sono casi rari. La più anziana di cui sia indicata l’età arrivò invece solo a 70 anni, 5 mesi e 7 giorni.
Da notare le due lapidi di adulti dove sono indicate anche le ore vissute, cosa solitamente riservata ai bambini: in una si legge che Getulicus visse 70 anni, 7 giorni, 5 ore e mezzo, nell’altra che Satria Severa concluse la sua esistenza terrena a 32 anni (il numero dei giorni è perduto) e 2 ore. Tale precisazione evidentemente dipende dal grande affetto dei congiunti superstiti, che volevano ricordare anche gli ultimi momenti trascorsi in vita dai loro cari.
L’analisi dei testi epigrafici ci consente anche di sapere l’età media in cui i cristiani di Aquileia si sposavano, quando viene specificata la durata della vita coniugale. Le giovani prendevano generalmente marito piuttosto tardi, rispetto ai parametri già noti in altri siti, secondo i quali la punta massima di matrimoni avveniva tra i 14 ed i 21 anni, con una maggiore frequenza tra i 15 ed i 18. Ad Aquileia, invece, risulta un valore medio di quasi 22 anni, con un’età minima di 14 ed una massima di 35. Per citare un esempio significativo, Aurelius Fortunatus, morto a 40 anni, 5 mesi e 20 giorni, aveva preso moglie solo dieci anni e cinque mesi prima, poco più che trentenne, in ogni caso ancora nell’età media calcolata per gli uomini tra 20 ed i 30 anni.
Aurelio Fortunato era un militare, veterano dell’XI legione, che rimpiange la prematura scomparsa della sua amata consorte Claudia, dopo 18 anni, 6 mesi e 5 giorni di vita coniugale e quasi la rimprovera di averlo lasciato prematuramente: “non ti sono grato, poiché mi hai lasciato prima del tempo” con sei figli da crescere.
Già dai pochi esempi ricordati ci si rende facilmente conto che le testimonianze epigrafiche aquileiesi (ci riferiamo specificamente a quelle cristiane) ci permettono di conoscere tanti particolari sulla vita quotidiana e sul trascorrere del tempo di quei nostri progenitori, che altrimenti non avremmo mai acquisito e quindi a pieno diritto esse si possono considerare fonti dirette molto preziose per il primitivo cristianesimo aquileiese.