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Blognotes 08
Blognotes 14
numero 14

Il tema del numero è "CONTAMINAZIONI"

Articolo presente in

Confini, confini, confini

di Marina Stroili, Carla Padovan, Michele Negro. Foto di Francesco Miressi

I confini della libertà

Quando vengono travalicati bisogna fuggire, non ci sono altre strade, altrimenti il rischio è quello di soccombere. Per proteggere sé stessi prima di tutto, il proprio futuro, per avere ancora dei progetti.
Questo è quello che ha dovuto fare Hassan, giovane afgano di quasi trent’anni, impegnato nella difesa dei diritti civili per tutelare la sua libertà di esistere e potersi prospettare un futuro.
Un futuro per il quale si sta impegnando passo dopo passo in Italia dove ha trovato rifugio, ma che vorrebbe proiettare fra qualche anno nel suo Paese, talebani permettendo.
Per fortuna la sua preparazione scolastica universitaria, accompagnata da una intelligenza vivida e la conoscenza della lingua inglese gli consentono in pochi mesi una prima conoscenza della lingua italiana.
Il percorso che Hassan ha in mente è chiaro: seguire una formazione specifica nel campo dell’agricoltura, in particolare sostenibile, approfondire gli aspetti legati alla trasformazione del prodotto e del marketing.
Progetti ambiziosi legati in particolare alla produzione di frutta, settore nel quale vorrebbe poter immaginare una impresa nel suo Paese una volta libero dai talebani.
Con una azienda o una rete di aziende dove anche le donne potessero trovare espressione lavorativa.
Marina Stroili

Foto di Francesco Miressi. Progetto Confini 2023

I confini della cura
E i bambini? Quali percorsi di cura appena giunti con le famiglie?
Nella prima accoglienza queste famiglie con minori vengono appoggiate alla Caritas che provvede ad una sistemazione logistica e con un mediatore/mediatrice culturale, interpreta i bisogni e il progetto migratorio delle stesse, provvedendo all’iter burocratico necessario alla loro “ visibilità”
Il problema sorge quando queste famiglie, anche per le lungaggini della burocrazia, divengono “irregolari” perché uscite dal progetto accoglienza o arrivano autonomamente nel nostro territorio.
Il Gruppo di lavoro nazionale per il bambino migrante (GLNBM) della SIP (Società Italiana di Pediatria), si è occupato di fornire indicazioni operative per l’accoglienza sanitaria di questi minori. Il Gruppo, nato dopo la sottoscrizione da parte dell’Italia della Convenzione di New York, ratificata con la legge 176 del 27 maggio 1991, sulla base dei diritti sanciti dalla Costituzione italiana, ha portato avanti l’obiettivo di una sanità pubblica equa ed inclusiva attraverso una serie di campagne. Basta citare “Noi non segnaliamo” per l’accesso ai servizi per i i migranti che non hanno un regolare permesso di soggiorno, alla campagna “Un pediatra per ogni bambino”, per cui tutti i figli di persone straniere in Italia, compresi i cosiddetti “irregolari” con codice STP (adulto temporaneamente presente), hanno diritto di essere iscritti al Sistema sanitario Nazionale ed avere un pediatra di libera scelta.
Per accedere a questo diritto devono essere informati di richiedere il Codice Fiscale alla Agenzia delle Entrate, attraverso lo sportello preposto delle singole aziende sanitarie della regione, lo stesso dove i genitori hanno richiesto l’STP.
Ad oggi gli adulti, se hanno necessità di cura, non possono accedere agli ambulatori preposti e dedicati per gli “irregolari”, perché sono stati chiusi dall’inizio pandemia Covid e non sono stati più riaperti. Di conseguenza rischiano di intasare il Pronto Soccorso ospedaliero anche per situazioni non emergenziali.
Molto spesso manca una corretta informazione, una comunicazione e condivisione tra uffici competenti ma soprattutto una coordinazione efficace tra tutte le agenzie, comprese le Associazioni di volontariato, coinvolte.

Foto di Francesco Miressi. Progetto Confini 2023

Salute diseguale
La pandemia Covid 19 ha sicuramente esacerbato il divario di trattamento per l’offerta di salute. L’abbiamo constatato anche tra le fasce di popolazione in difficoltà economica che hanno rinunciato a curarsi ma soprattutto per la fascia di migranti “irregolari” che alle difficoltà economiche hanno aggiunto le difficoltà linguistiche e la possibilità di poter usufruire di mediatori culturali. Distinguerei al proposito due gruppi riguardo ai migranti : a) quelli che possono godere di un riconoscimento da parte delle nostre istituzioni e inseriti in percorsi di accoglienza e b) quelli “ irregolari”, visti solo dalle associazioni di volontariato di strada o CRI.
Per quanto riguarda il primo gruppo la richiesta di salute, come le vaccinazioni, sono garantiti dalle istituzioni che si prendono cura di loro, come la Caritas, ma non sappiamo, al termine del mandato di accoglienza, dove vanno a finire. Il corridoio umanitario creato per i profughi dell’Ucraina è stato un esempio di coordinamento funzionale e funzionante. Per entrambi i gruppi il comportamento di accedere direttamente al Pronto soccorso anche per patologie lievi, soprattutto dopo questa pandemia, con la difficoltà di contattare il proprio medico curante, anche per chi ce l’ha, ha visto incrementare gli accessi al PS, intasando con codici bianchi e verdi la struttura.
Per il secondo gruppo le difficoltà sono decisamente più serie: difficoltà con la lingua e paura ad essere intercettati, presenza saltuaria e, nel periodo pandemico, diffidenza verso la vaccinazione. Nonostante le Associazioni di volontariato si fossero attivate per radunare “gli irregolari”, a Pordenone è stato difficoltoso poter garantire un’assistenza sanitaria minima a queste persone. Non erano proprio presi in considerazione. I nostri ambulatori per i migranti sono stati chiusi e attendono ancora la disposizione ad una apertura continuativa e sistematica. I due medici volontari segnalano che ad essi accedono sempre gli stessi migranti, presenti da anni nel territorio, ma i mediatori culturali sono quelli dell’Ospedale e della Caritas; tutta la rete stabilita nel territorio tra strutture sanitarie e cooperativa di mediazione culturale è stata burocratizzata e resa meno agibile.
Ci si chiede come mai le cose abbiano funzionato benissimo con i profughi ucraini mentre per quelli a provenienza dalla rotta balcanica ci sono stati mille ostacoli.
In sintesi vedrei opportuno proporre di:

  • riaprire al più presto gli ambulatori per i migranti “
    irregolari” con libero accesso
  • stabilire un percorso con l’Azienda Sanitaria per le prassi di prevenzione ( vaccini , screening, esami ecc)
  • predisporre dei rifugi- dormitorio per i migranti di passaggio, coinvolgendo in rete le associazioni di volontariato.
  • poter usufruire delle consulenze delle associazioni del sindacato dei lavoratori per spiegare il funzionamento delle nostre leggi e i loro diritti.
  • rendere più agibile l’accesso alla questura per le pratiche burocratiche e i rinnovi dei permessi di soggiorno
    Carla Padovan
foto di Loredana Gazzolai. Progetto Confni. 2023

Confini da varcare
Da sempre gli Stati si sono dati o sono stati imposti loro dei Confini per segnare i limiti delle rispettive azioni amministrative. Ma da sempre questi sono stati attraversati, in entrambi le direzioni, e essi stessi, i confini, sono “migrati”.
Scriveva opportunamente Moni Ovadia nella prefazione a “Confini Migranti”: << … La vocazione a varcare i confini del proprio habitat è uno dei tratti salienti della “natura” dell’essere umano fin dalle sue remote origini…>>.
C’è oggi uno Stato, l’Afghanistan, che subisce da circa 50 anni “invasioni” dei suoi confini, con devastazioni, guerre, bombardamenti, massacri; anche l’Italia ne è stata “partecipe” con il nobile scopo di portare la democrazia e la pace, mandando armi e il suo esercito. Ma un bel giorno ce ne siamo “scappati”, nell’agosto del 2021, lasciando quel popolo in mano ai talebani, che dovevamo combattere.
Donne e uomini che non si riconoscono in quella organizzazione parareligiosa sono esclusi da ogni attività amministrativa e specie le donne sono discriminate nella vita pubblica compresa la frequenza alle scuole superiori e università.

Foto di Francesco Miressi. Progetto Confini 2023


Perché “condanniamo” migliaia e migliaia di persone che non possono avere futuro oggi in quel Paese, se non subire persecuzioni con il pericolo per la loro vita, a varcare tanti confini, con costosi viaggi attraverso tante Nazioni, invece che riconoscere la possibilità di arrivare in Italia o in Europa direttamente senza affidarsi ai trafficanti e ai pericoli dii lunghe e complicate Rotte che durano anche più anni? Perché non usare, come abbiamo fatto recentemente per chi scappava dall”Ucraina, le modalità previste per ingressi legali a chi scappa da guerre e discriminazioni?
Michele Negro – Rete Dasi