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Blognotes 08
Blognotes 14
numero 14

Il tema del numero è "CONTAMINAZIONI"

Articolo presente in

Tre storie di attesa

di Marina Stroili

Ucraina

Tre generazioni di donne ucraine in Italia, arrivate dal Donbass in rapida successione in attesa di un futuro in Italia. Prima la nonna, assistente domestica, poi la mamma, diplomatasi in Italia come O.S.S., attualmente imprenditrice. Quindici anni fa la figlia, R.F., è arrivata in Friuli all’età di 10 anni, a seguito della richiesta di ricongiungimento familiare. E’ stata inserita nell’ultimo anno delle elementari, per imparare la lingua italiana, proseguendo alle superiori l’indirizzo in Scienze Umane ed all’università di Venezia in Scienze Sociali. Ora sta terminando il tirocinio per il Master in gestione delle imprese Sociali.

Degli uomini, rimasti a presidiare case e terreni, adesso a Lugansk a cinque chilometri dal confine russo, è rimasto solo il nonno settantenne, perché gli zii, che abitavano in una delle zone più bombardate, se ne sono andati in Finlandia da alcuni parenti e lì cercano lavoro. Le amiche di mamma si sono spostate a Leopoli, zono ritenuta più sicura, mentre l’amica del cuore della giovane ventincinquenne R.F. ha provato a cercare lavoro emigrando in Polonia, ma non trovandolo, ben presto è tornata a Leopoli, dove è rimasto il giovane fidanzato, che ovviamente deve restare nel Paese. Se tu fossi lì adesso, che faresti? “Me ne andrei – ha risposto – per seguire il mio istinto di sopravvivenza e per crearmi un futuro. L’Ucraina è un Paese in evoluzione e se hai vissuto fuori dalla bolla, dove lo stipendio medio di un operaio è di 400 euro al mese, ti rendi conto che c’è dell’altro. Il nonno? “. È stanco di combattimenti, morti, resta attaccato alle cose che ha la casa, a quello che resta della famiglia. A lei, così bionda, solare, con vividi occhi azzurri, giovane ucraina venticinquenne che ha scelto già da tempo di restare in Italia in attesa del suo futuro lavorativo, si accompagna l’immagine dell’artista Petro Smetana, ucraino, che ha esposto un suo quadro “Resurrection” alla Biennale di Venezia 2022.

Tunisia

Tre immagini  raccontano di un’attesa che ha avuto origine in un piccolo paesino in Ciad ed attraverso il Sahara è approdata in Libia, purtroppo poi naufragata drammaticamente in mezzo al mare, al largo di Zarzis, in Tunisia. L’attesa di un futuro non c’è  più, perché  “Mohamed” chiamiamolo così,  non ha potuto essere salvato. È stato raccolto da uno degli equipaggi della cooperativa di  pescatori della flotta  di Zarzis. Composta da uomini di mare che ogni giorno testimoniano la loro fedeltà  all’etica dei marinai: cercare di salvare l’uomo in mare.

I pescatori della cooperativa di Zarzis sono appositamente addestrati,   spiega il loro presidente Slah Eddine Mchare, al salvataggio, al primo intervento, al recupero e ricomposizione delle salme ed hanno dotato le loro imbarcazioni di speciali salvagente. Tra queste imbarcazioni anche quella che fu sequestrata alcuni anni fa dalla Capitaneria di porto di Lampedusa.“Mohamed”,  partito dal Ciad è  ora sepolto nel cimitero dei senza nome, gestito dal signor Chamesedine Marzou, in accordo con le autorità locali tunisine.

Si tratta di un luogo che narra le vicende dei molti che son partiti e non ce l’hanno fatta. Insieme agli oggetti dei migranti che arrivano sulle coste vengono raccolti da trent’anni dal signor  Mohnsen Lindahheb nel Museo del mare di Zarzis.

Perché  avete lasciato il vostro paese, conoscevate i rischi? Domanda rivolta più  e più volte ai giovani presenti nel centro di accoglienza maschile diretto dal volontario dottor Mongi Slim. 

“Per avere la speranza di un futuro. Ben sapendo del pericolo di morire. I centri di informazione mettono sull’avviso dei rischi in agguato”. 

Lo racconta “Ibrahim”, che  in Tunisia è  riuscito ad arrivare. Prima possibile lascerà il centro di raccolta per cercare di partire per l’Italia. Di nuovo un viaggio in mare, in attesa, forse, di un futuro  in Italia.

Afghanistan

Foto di Hamid

Le fotografie segnano alcune tappe dell’attesa di una nuova vita per Hamid, che ha dovuto lasciare l’Afghanistan nel 2015, raccontano prima di tutto di un insegnante d’arte con i suoi allievi rimasti in Afghanistan.

Partito nel 2015 portando con sé un quadro ed i suoi strumenti di lavoro, pennelli e colori, attraverso l’Iran, la Turchia, la Bulgaria, la Serbia, l’Ungheria, l’Austria e poi la Germania.

Gli han chiesto al confine bulgaro “Ma dove vai con pennelli e colori” ridendo un po’ di lui. Pennello e colori sono le uniche cose che non ha mai lasciato. Arrivato in Germania dove è rimasto due anni e mezzo, è stato costretto per necessità ed a malincuore a vendere il quadro della moschea di Manzhar, che porta i segni del viaggio. Arrivato in Friuli nella zona dell’Udinese, ha portato a termine con successo l’iter per il riconoscimento ed il visto come rifugiato politico. Lavora come aiuto cuoco, in attesa, insieme alla sua compagna, che fra due mesi nasca la figlia.

Nei ritagli di tempo aiuta la sua compagna nella la realizzazione di laboratori di disegno per bambini, in attesa di riprendere in mano colori e pennelli e magari tornare a fare l’insegnante.