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Il doppio e il confine

Andrea Flego
Il doppio e il confine

Testo e foto di Andrea Flego

... Oltre dovrò forse cercare

impreziosire il canto e il travaglio

lungo i viottoli dell’umano…

Sono nato a Trieste, al silos. Si proprio quello, vicino alla stazione ferroviaria, che accoglie oggi abusivamente i migranti che cercano di ripararsi dalla pioggia e non dormire nel fango. Quando sono nato accoglieva i profughi istriani e tra essi anche i miei genitori. Due cose mi colpiscono ancora dopo molti anni, tanto per rimanere nel tema del doppio: il dramma di chi emigra, com’era toccato ai miei dall’Istria, e la necessità/impossibilità della doppia identità. Necessità perchè oggi non si può più comunicare efficacemente con il mondo conoscendo una lingua sola, impossibilità perchè a quel tempo un esasperato nazionalismo mi ha privato della conoscenza della lingua slava, che pure stava nei quarti del mio sangue (almeno una nonna lo era) e mi costringe oggi a comunicare con sloveni e croati in inglese quando non sanno la mia lingua, l’istro-veneto. E invece spesso loro, a differenza di me, la mia lingua la sanno.

Ma questo discorso marcatamente autobiografico cos’ha a che fare con il titolo che ho scritto? Il doppio… il doppio è insicurezza, il doppio è ansiogeno, è necessità di confrontarsi con l’ignoto, con l’alieno. E il confine sembra lì messo apposta per rassicurarci, per confermare l’unicità della nostra identità. Ma nelle terre di confine questa è una rassicurazione effimera. Il confine è dominato dalla coscienza del doppio. Oltre il muro sappiamo che c’è (o quantomeno c’era) l’alieno, l’altro da noi.

Questo è stato il vissuto della mia infanzia, in una città, Trieste, come si diceva allora, “italianissima” (e non era vero e mai è stato vero nella sua storia), una città circondata tutt’intorno da un confine che distava dal mare da due a otto chilometri, un’enclave circondata da una cortina di ferro, un mondo occidentale assediato allora tutt’attorno dal mondo comunista.

Trieste. Piazza della Libertà

Ma torniamo al doppio. Il doppio è necessario per evolvere, è mezzo e occasione per andare “oltre”, per doppio intendo in questo caso una doppia lingua, una doppia identità, una doppia antropologia capace di effettuare uno “switch” da una all’altra rimanendo sereni, e non ansiosi e aggressivi. Di riuscire a convivere con le differenze.

I confini, in tempi di nazionalismo, erano destinati a spostarsi anche violentemente, creando insicurezza ontologica e voglia di fuggire in quelli rimasti al di là, spaesati dal cambiamento, come successe ai profughi istriani. Ora, in tempo di globalizzazione, i confini sono destinati ad essere perforati, superati, ignorati, legalmente o clandestinamente, secondo una legge ineluttabile contro cui le parole d’ordine semplicistiche non funzionano.

Per fortuna, i nostri figli, i figli dell’Europa, ormai conoscono più lingue e si sono costruiti degli schemi mentali che integrano diverse culture e diverse antropologie e li rendono capaci di vivere il mondo nella sua complessità in modo integrato e pacifico.

Già, la pace. Il doppio è necessario per la pace. E dove il doppio non caratterizza la convivenza c’è la guerra, che secondo me è anche segno di insufficiente evoluzione reciproca. E gli imperi, quelli antichi tendevano ad uniformare il modello di società in modo identitario, e quelli tentati in epoca moderna (senza riuscirci per fortuna) tendevano ad imporre un’egemonia culturale che soffocava il doppio.
Ma il doppio sfalda e sgretola l’egemonia di un’identità unica che quindi dev’essere sempre più imposta con la forza.

La diversità, la differenza, di cui il doppio è sinonimo, è come l’acqua, è come il pensiero, non li puoi fermare.

Trieste. Molo Audace

Da bambino avevo un sogno.

Di poter un giorno attraversare il confine, allora presidiato dai “graniciari”, soldati maleducati e molesti dell’ex Yuogoslavia, senza lasciapassare (la fatidica “propusnica”), o senza passaporto, passando direttamente “oltre” come se il confine non ci fosse.

Ed è accaduto, il destino mi ha fatto questo regalo, ma subito ho capito che la storia passata mi (e ci) ha impoverito, mi ha lasciato povero di strumenti per integrare nei miei schemi mentali le identità aliene.

E questo è stato un po’ il destino della mia generazione, che spesso ha studiato male un po’ d’inglese a scuola, ma senza una vera finalità di dialogo col mondo.

Per questo guardo stupito e ammirato queste nuove generazioni capaci di dialogare come ai miei tempi era del tutto impensabile.

E questo mi fa ben sperare in un doppio che permetta di andare “oltre”, e di andarci in pace.