Le opere che accompagnano questo numero di Blognotes sono stati realizzate dagli ospiti della Casa Circondariale di Pordenone. Immediato e diretto è il collegamento con l’Art brut.
Questa espressione che in italiano si può tradurre “Arte grezza o spontanea”, è stata coniata nel 1945 da Jean Dubuffet, artista francese (1901-1985) che in sintesi, così la definisce:
“lavori effettuati da persone indenni di cultura artistica, nelle quali il mimetismo, contrariamente a ciò che avviene negli intellettuali, abbia poca o niente parte”.
Gli argomenti, la scelta dei materiali, la messa in opera, il ritmo, i modi di scrittura, ecc. trovano spunto negli autori dal loro “profondo” e non sono stereotipi dell’arte classica o delle tendenze di
moda. Insomma, realizzazioni ispirate e provenienti dalle più disparate e anche ‘disperate’ sorgenti creative. Ben distinte dall’arte popolare, dall’arte naif, dai disegni dei bambini.
L’artista dell’Art Brut è un autodidatta, un marginale. Lavora in solitudine e nell’anonimato al di fuori di ogni quadro istituzionale privo di qualsiasi aspirazione al riconoscimento sociale.
Alla base della visione artistica di Dubuffet c’è anche la negazione, in primis delle Accademie, accusate di un forte allontanamento dalla realtà, dalla vita quotidiana. Di conseguenza, questo rifiuto dell’Accademia e dei suoi valori, è una critica alla posizione ‘elitaria’ che l’arte ha assunto attraverso i secoli: un limite alla creatività e al carattere spontaneo e immaginifico che è presente in ogni persona.
Dubuffet credeva che l’Art brut avrebbe rivoluzionato i musei tradizionali, come una forma di contro-potere. Ma poi, anche le collezioni di artisti ‘selvaggi’ da lui raccolte sono finite nei musei.
Nel 1971 ha regalato la sua immensa “Collection de l’Art Brut” alla città di Losanna che è diventata l’epicentro mondiale delle espressioni artistiche alternative.
I segni e i colori che presentiamo hanno “alcuni” punti in comune con l’idea di Art brut di Dubuffet: ma notevoli e sostanziali sono le differenze che li caratterizzano. La più evidente è che le opere non nascono da un’inconsapevolezza generata da malattie o da un’estraneità alla vita reale. Anzi !!!
E sono questo “tipo” di artisti non formati, inconsapevoli di fare arte, non riconosciuti, non classificabili che interessano James Brett, un produttore cinematografico inglese.
Nel 2009 ha creato il Museum for Everything. Un museo nomade che ha accolto fino ad oggi oltre 700.000 visitatori, tra Londra, Torino, Parigi, Mosca, Venezia.
Brett sostiene che l’arte sia, prima di tutto, e da sempre, un’esigenza, un rifugio, una cura, una gioia per l’uomo. In particolare nei momenti di grande difficoltà collettive e personali.
Inconsapevolmente, “la gente ha bisogno di riconnettersi con la creatività”.