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Blognotes 08
Blognotes 14
numero 14

Il tema del numero è "CONTAMINAZIONI"

Articolo presente in

Il tempo racchiuso nella terra

di Sandro Pittini

“Il passato altro non è che il luogo
delle forme senza forze prigioniere. Spetta a noi
procurargli la vita e la necessità e prestargli
le nostre passioni e i nostri valori”
Paul Valéry

L’azione più importante che un archeologo compie all’interno di un’area archeologica è una distruzione. Una “distruzione ordinata” ma necessaria per liberare quella coltre che il tempo deposita sui manufatti antichi. L’agire dell’archeologo opera in due direzioni: una verticale e l’altra orizzontale ed è, in modo del tutto singolare, analoga dell’agire dello storico. Le due dimensioni esprimono due modi di leggere il tempo impresso sulle cose dell’uomo, l’uno diacronico e l’altro sincronico.

Nella realtà dei fatti accade spesso che il tempo interno – così come viene definito da Ilya Prigogine -, o tempo qualitativo, diversamente dal tempo esterno o quantitativo (2), risulta molto più complesso in quanto più livelli cronologici si sovrappongono e si fissano su un medesimo strato.

Ma perché si scava con tanto accanimento e passione nel tentativo di riportare alla luce testimonianze antiche ora sepolte?

Dai dati relativi alla presenza di visitatori all’interno di aree archeologiche più o meno importanti si riscontra un sempre maggior interesse per la fruizione dei siti antichi.

Ciò è determinato da una forte esigenza del mondo contemporaneo di recuperare il fattore temporale come elemento che può imprimere una dimensione qualitativa allo spazio per l’uomo: “Solo se abbiamo la capacità di abitare il tempo, possiamo costruire”, sostiene Umberto Galimberti. Il fattore temporale lo ritroviamo oggettivato soprattutto nelle rovine che la terra racchiude. Marc Augé afferma infatti: “… abbiamo bisogno di ritrovare il tempo per credere nella storia. Questa potrebbe essere oggi la vocazione pedagogica delle rovine”(3) La conoscenza, quindi, come supporto alla riappropriazione della dimensione temporale, per riconoscersi nella storia e far rivivere il passato: “Le rovine sono al tempo stesso una potente epitome metaforica e una testimonianza tangibile non solo di un defunto mondo antico ma anche di un suo intermittente e ritmico ridestarsi a nuova vita”(4)

Il “ruolo pedagogico” delle rovine, inteso come espressione dell’attuale “ritmico ridestarsi a nuova vita” dei resti antichi, è profondamente diverso dal ruolo eminentemente “estetico” che ha animato tutto il secolo diciannovesimo nei confronti del passato, reso evidente, tra gli altri,  da Giacomo Leopardi nelle pagine dello “Zibaldone di pensieri” (5). A questa interpretazione è seguita, nei primi del Novecento, un atteggiamento di tipo “funzionalista” nei confronti dell’archeologia, utilizzata come ammonimento sociale a supporto del potere politico, tramite l’esasperato isolamento di antiche vestigia dal resto della città. A solo titolo di esempio si pensi all’operazione perpetrata con via dei Fori Imperiali e al radicale vuoto creato attorno all’Anfiteatro Flavio o Colosseo.

L’attuale “ruolo pedagogico” delle testimonianze del passato deve essere sostenuto necessariamente dalla interrelazione di due discipline: quella archeologica e quella architettonica, un’interrelazione espressa attraverso i saperi e gli strumenti della museografia. Questo attuale modo di intendere il testo antico, che prende le distanze sia da una lettura puramente estetica che da un ridotto utilitarismo, ha come obiettivo una più profonda attitudine alla conoscenza, che è archeologica e storica assieme.

Questo nuovo approccio culturale ha il preciso intento di dare una forma concreta all’idea di museo diffuso, dove l’esposizione degli oggetti e la loro conservazione sono radicate ai contesti, ai siti in cui essi sono stati prodotti o ritrovati, al fine di realizzare musei in ogni luogo, in una sorta di processo di appropriazione culturale del territorio attraverso l’istituto museale. In questo modo si evita ogni forma di alienazione tra oggetto e contesto, tra il manufatto e l’ambiente in cui è stato prodotto. Si tratta di una lettura del passato secondo un atteggiamento antropologico, il che consente di avvicinare l’antico alla nostra contemporaneità attraverso la vita vissuta.

2) Sul concetto di “tempo interno” e “tempo esterno” si veda  il saggio di Andreina Ricci dal titolo “Attorno alla nuda pietra”, Donzelli Editori 2006, pp. 126 e seguenti, nel  quale vengono citati gli studi del filosofo matematico Ilya Prigogine “La nascita del tempo”, Theoria, Roma, 1988. Andreina Ricci scrive “In altri termini differentemente dal tempo esterno, della datazione puntuale (che si desume dalla cronologia dell’oggetto più tardo fra quelli rinvenuti in uno strato) e che Prigogine paragona all’età anagrafica di una persona, il tempo interno assomiglia piuttosto all’età che una persona dimostra, prodotta da un groviglio di “elementi temporali” differenti. Ed è proprio in questo miscuglio a rivestire un’importanza centrale nel lavoro dell’archeologo sia alla scala più piccola, quella dell’unità stratigrafica, che a quella più ampia dei sistemi urbani avvicendatisi nel tempo”. pp. 131 e 132

(3) Marc Augé, Rovine e macerie. Il senso del tempo, Bollati e Boringhieri, Torino, 2003, p. 43

(4) Salvatore Settis, Il futuro del classico, Giulio Einaudi Editore, Torino, 2004, p.84

(5) “L’antico non è eterno, e quindi non è infinito, ma il concepire che fa l’animo uno spazio di molti secoli, produce una sensazione indefinita, l’idea di un tempo indeterminato, dove l’anima si perde, e sebben sa che vi son confini, non li discerne, e non sa quali siano.” Giacomo Leopardi, Zibaldone di pensieri, tratto dall’edizione del 1937, Arnoldo Mondadori Editore

Foto 3
Duomo di Venzone. Sacrestia. Allestimento, 2006. San Rocco, Scuola di Domenico da Tolmezzo, fine secolo XV.
Fondale in rame ossidato, supporto in legno di cedro, parete in arelle di larice dipinto. Progetto e foto arch. Sandro Pittini
Foto 3. Duomo di Venzone. Sacrestia. Allestimento, 2006. San Rocco, Scuola di Domenico da Tolmezzo, fine secolo XV. Fondale in rame ossidato, supporto in legno di cedro, parete in arelle di larice dipinto. Progetto e foto arch. Sandro Pittini
Cavazzo Carnico marzo 2020 foto di Francesco Marongiu
Foto 4. Cavazzo Carnico marzo 2020. Foto di Francesco Marongiu