Blognotes 08
Blognotes 13
numero 13

Il tema del numero è "IL DOPPIO"

Articolo presente in

Il Rock è morto? Lunga vita al rock. Zitti e buoni

Paolo Michelutti
Il Rock è morto? Lunga vita al rock. Zitti e buoni

Blognotes 1

I fenomeni sociali hanno un inizio e una fine. Cioè una nascita e una morte. Non solo; tutti i fenomeni storici e sociali (e la musica popolare non si discosta da questa regola) sono soggetti alla creazione di eventi che vengono normalmente inventati dagli studiosi. L’atto di nascita della musica rock è il 1954: una canzone, Rock Around The Clock; un cantante, Bill Haley; un gruppo, The Comets; un film, Il seme della violenza, (regia di Richard Brooks con Glenn Ford e un giovanissimo Sidney Poitier e tutti i temi della ribellione giovanile e razziale). Ma questa è la visione bianca e anglosassone che omette – nell’atto di nascita della musica rock’n’roll – il notevole contributo di Chuck Berry che ha il torto di aver raggiunto il successo solo nel 1955 con la pubblicazione, per la Chess, di un 45 giri – Maybellene – riadattamento di un classico country western. Il resto segue a passo d’anatra.

Questo telegraficamente l’atto di nascita (sorvoliamo la questione del re, Elvis, e della regina, Little Richard; il primo forse a fare grande uso di trucco e atteggiamenti ambigui).

Veniamo ora al certificato di morte. 22 maggio 2021? La polemica francese contro i Måneskin? Il test antidoping a fine gara? Le dichiarazione di Damiano David contro la droga? «Una grandissima zozzeria». Lasciamo stare lo J’accuse di certa stampa francese e veniamo alla questione che mi è stata posta sulle dichiarazione della band romana: «non si tratterà di musica finto rock?»

Per rispondere dovrò fare qualche passo indietro nel tempo – vuol dire un po’ di storia.

L’avvento della cultura pop e la nascita del rock’n’roll avviene nel secondo dopo guerra, negli Stati Uniti; si sviluppa per il cambiamento di fruizione della musica già in atto dalla fine del Settecento, cambiamento che si consolida durante tutto l’Ottocento per effetto della commercializzazione (nelle mani di pochi editori e di organizzatori di concerti) della canzone popolare associata a una danza. Ormai la gente non fa più musica da sé ma la compra e agli inizi del Novecento, il sistema editoriale, più le case discografiche assieme alla radio e all’industria cinematografica, impongono un’accelerazione fordista alla produzione musicale. Negli anni ’50 e ’60, in pieno boom economico, la società e la cultura di massa (attraverso la creazione di una nuova categoria di consumatori – i giovani), richiedono un nuovo tipo di canzone che per diventare popolare deve essere «cantata, suonata e martellata nelle orecchie del pubblico» in ogni angolo del globo. Più rapido di così non potevo essere.

Cantare, suonare e martellare in mondo chiaro e riconoscibile sono gli unici elementi che fanno della musica rock la sua ragione d’essere e i Moooneskin (eh sì la pronuncia danese di «chiaro di luna» è con una AO – non alla romana – ma una vocale intermedia che possiamo riprodurre con una lunga “oooo” iniziando con la A e terminando con la O) non fanno eccezione. «La musica pop non è mai stata una questione di esperienza o una venerazione del passato» – sostiene Nick Hornby – «La musica pop ha bisogno di energia e faccia tosta». E di energia e faccia tosta i Måneskin ne posseggono da vendere. Il rock non è morto quando il chitarrista degli Spirit ha citato in giudizio Jimmy Page per plagio per l’arpeggio discendente di Stairway to Heaven (ascoltare Taurus per un confronto); non è morto quando Johnny Rotten ha partecipato a I’m a Celebrity… Get Me Out of Here! (l’Isola dei famosi in versione britannica, of course); nemmeno è morto quando Ozzie Osbourne ha aperto la sua intimità alle telecamere per quattro stagioni mettendo a nudo la vita della sua famiglia (tranne la figlia Aimee che ha rifiutato di partecipare per non rovinarsi la carriera). Non è morto quando abbiamo scoperto che Pet Sound, Good Vibrations, These Boots Are Made for Walking, Mrs. Robinson, Let the Sun Shine e l’intero repertorio dei Monkies, come grandissima parte della popular music sfornata dalla West Coast, era suonata dai turnisti più famosi del rock: The Wrecking Crue. Non è morto quando Jack Frusciante è uscito dal gruppo (per poi rientrarci) ne quando la Stella Nera di David Robert Jones ha smesso di brillare.

Citando sempre Nick Hornby «nutro sospetti verso quei critici che pensano che tutta l’arte, e soprattutto la musica rock, debba essere pericolosa sempre – che non ci sia spazio per la dolcezza, il rimpianto, la gioia»… ecco Quando Damiano, in diretta tivù, durante il tour promozionale in Polonia, bacia in bocca Thomas, il chitarrista, non solo riproduce il canone rock David Bowie-Mick Ronson, ma con dolcezza e gioia ci ricorda che il DDL Zan, nel nostro Paese, è ancora bloccato al Senato.

Sempre Nick Hornby «un odio reale, forte e prolungato per un artista o un album suggerisce che forse è tempo che il critico abbia dei figli, o cominci a lavorare nel sociale, o faccia qualcosa che lo posso aiutare ad acquisire un senso della prospettiva». Allora la prospettiva è che la musica rock si è via via associata a diversi aggettivi: roll, blues, funky, glam, hard, heavy, jazz, acid, pop, elettronica, latin, sinfonica, opera, folk, psichedelica, classica, moderna… fino all’assurda etichetta nazionale: italiana, spagnola, francese, tedesca, giapponese, finlandese e così via. L’importante è che mantenga alta la sua carica energetica. Con gioia.

Buoni e zitti.

Richard Middleton, Studiare la popular music, Feltrinelli, 2001.

Rock, Pop, Jazz & Altro. Scritti sulla musica , a cura di Nick Hornby, Guanda, 2002.

Il seme della violenza, (Blackboard Jungle) diretto da Richard Brooks, 1955.La fabbrica del rock – The Wreckling Crue, documentario diretto da Denny Tedesco,