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INCERTEZZA è il tema del numero più recente di Blognotes 15

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Origine celtica nella tradizione del Pignarûl

di Anna Mattioni, foto di Zeno Rigato

I riti del fuoco

Il fuoco è dall’alba dei tempi elemento fondamentale per l’uomo, divenuto oggetto di venerazione già nelle prime comunità in quanto fattore rappresentativo della sopravvivenza e della vita. Esso entra inoltre in relazione con la componente del tempo: molti sono i riti legati al fuoco messi in atto in occasione di determinati momenti dell’anno perché legati alle scadenze dei cicli colturali.

Il fuoco però nella tradizione, non è legato solamente al mondo agricolo e pastorale, ma anche alla sfera sacra, rappresentando tra le antiche popolazioni un tramite con il maligno e la malasorte, spesso legati a concetti di infertilità, sia umana che agricola.

Scopo dei riti diveniva quindi, in questi casi, la purificazione, come simbolo di rinascita e di espiazione dei peccati.

La venerazione di questo elemento si protrae nel tempo e in tutte le diverse culture, ma i riti ad esso legati sono molto forti principalmente nelle tradizioni slave, germaniche, latine e celtiche. Saranno proprio i Celti ad  essere ritenuti il principale veicolo della presenza dei culti del fuoco nell’Italia settentrionale. Beleno era un Dio venerato dai Celti e anche uno dei principali dei pagani. In onore di Beleno venivano effettuati dei riti propiziatori, in quanto egli aveva influenza sulla luce solare, sulla temperatura, nonché sulla stagionalità e quindi sull’agricoltura e l’allevamento. Alcuni dei riti celtici legati a Beleno prevedevano l’accensione dei falò sulla cima dei colli. Le pire venivano solitamente incendiate in determinati momenti del calendario, alcuni esempi sono: la notte di San Giovanni, ovvero la notte tra il 24 e il 25 giugno; la sera del solstizio d’estate, che si colloca il 21 giugno; il solstizio d’inverno, al 21 di dicembre, noto come il giorno più corto; infine, importante ricordare i riti del primo di novembre che rappresentano un anticipo della scadenza del Capodanno e del Natale.

L’origine del Pignarûl

La tradizione celtica più interessante è legata a un rito nato presumibilmente in terra irlandese attribuito ai druidi, sacerdoti che praticavano o assistevano a sacrifici. Questo tipo di rito era noto con il nome “Il fuoco di Beltame”, in onore appunto del Dio Beleno, nel corso del quale venivano bruciate delle donne credute streghe. La cenere della pira veniva considerata alla stregua di una medicina, capace di curare uomini, animali, ma anche efficace contro le maledizioni.

Durante il falò si praticavano delle danze attorno al fuoco e veniva preparata una focaccia la cui ripartizione delle fette andava a sorteggiare colui che sarebbe stato il capro espiatorio della serata, condannato simbolicamente ad essere bruciato, noto con il nome di “Carline di Beltame”.

L’elemento ricorrente in queste tipologie di falò è quello del sacrificio, che sia simbolico o reale, ma sempre volto alla purificazione di una persona fisica o anche di un oggetto materiale che assumeva simbolicamente le colpe e le preoccupazioni collettive.

La tradizione del falò, popolare nell’italia nord orientale e  nell’Emilia nord occidentale ha moltissime declinazioni e tipologie con diversi nomi.

Per quanto riguarda la nostra regione, nel Friuli centrale

Pignarûl, Cabosse nella Bassa Friulana, Foghere, Foghera, Fogoron nella bassa friulana, nelle provincie venete Pan e Vin.

Pagina Facebook Pro Loco Tarcento

Il fuoco nella tradizione friulana

La tradizione del Pignarûl friulano da un lato acquisisce valenze nuove rispetto ai riti celtici: il fuoco nella tradizione moderna del Pignarûl rappresenta la luce, il calore, il nutrimento e simboleggia la famiglia.

D’altro canto questa pratica mantiene alcuni elementi caratteristici dei riti celtici del fuoco: uno di questi è la celebrazione dei momenti di passaggio e quindi della nuova luna, al fine di scongiurare la pericolosità delle calende di gennaio. Altro elemento che rimane saldo è la volontà, tramite la pira, di liberarsi del maligno ed espiare i peccati, attribuendo le colpe ad un oggetto. Tale pratica trova aderenza nella figura della befana alla quale tradizionalmente si attribuisce un significato similare. In alcuni luoghi vengono mantenute anche le pratiche relative alle danze attorno al fuoco e della consumazione di alcuni cibi tipici.

Antico proverbio friulano

Se il fum al va a soreli a mont, cjape il sac e va pal mont; se il fum invezit al va de bande di soreli jevât, cjape il sac e va al marcjât.

Se il fumo va a occidente, prendi il sacco e va per il mondo; se il fumo invece va a oriente, prendi il sacco e va al mercato.

Il Pignarûl

La tradizione del Pignarûl trova una particolare partecipazione nel Friuli collinare e centrale: Gemona, Buja, Tarcento, Magnano in Riviera e Faedis per citare alcuni comuni, ma anche nelle Valli del Natisone e in alcune zone della Carnia. Questa pratica consiste nell’accensione di un falò la sera del 6 gennaio. Il falò prende appunto il nome di Pignarûl, e il suo fumo viene interpretato come presagio per l’anno appena iniziato.

Sarà proprio nel comune di Tarcento, che si è concentrata la mia attenzione, ove permane una lunga tradizione di fuochi epifanici, unica eccezione è rappresentata dagli anni della seconda guerra mondiale, periodo cui la pratica venne meno, per riaccendersi trionfalmente a Coja, dove attualmente si tiene il Pignarûl grant.

Il termine Pignarûl deriva dalla parola latina palea, ovvero paglia, proprio perché  inizialmente la pira era interamente composta di paglia.

Attualmente viene realizzata con diverse tipologie di legno e sterpaglie ma un tempo venivano bruciati anche materiali plastici, poiché si usava il falò come un modo per liberarsi delle cose scomode che non venivano più utilizzate.

Il momento della costituzione del Pignarûl è un momento comunitario e di aggregazione, viene visto da i pignarûlars come un modo per stare assieme durante la costruzione del covone. 

Il giorno dell’Epifania nel centro di Tarcento si svolge una fiaccolata che raggiunge il castellaccio di Coja, frazione dove brucia il Pignarûl principale del paese. Ad aprire il corteo vi sono le autorità civili e militari e il pubblico, ma soprattutto il Vecchio Venerando, figura impersonificante la sapienza che detiene dei poteri, uno dei quali, è la capacità di interpretare i responsi del fuoco.

 È proprio questa figura ad appiccare il fuoco stesso, a cui si succedono i pignarûlars che lo seguono nell’atto dell’incendio, appiccandolo in diversi punti del covone, così da farlo bruciare in modo uniforme.

All’accensione del principale Pignarûl, il Pignarûl Grant di Coja, seguono quelle delle altre borgate. Il venerando è chiamato poi a “leggere” il fuoco che offre presagio sull’andamento del nuovo anno. Al fuoco si accompagnano anche i fuochi di artificio.

Si tratta di  una tipologia di “patrimonio non ufficiale”, salvaguardato e rappresentato a livello locale, ma non compreso in ciò che lo Stato interpreta come “patrimonio ufficiale” parte della storia nazionale.  

Bibliografia

• BACCHETTI Barbara, Carnia- Terra di tradizioni, Editore Inuno, Udine, 2010.

• D’ARONCO Gianfranco, Il Friuli: Aspetti Etnografici, Camera di commercio Industria e Agricoltura, Udine, 1965.

• CICERI NICOLOSO Andreina, Feste tradizionali in Friuli, Chiandetti Editore, Reana del Rojale, 1987.

• CICERI NICOLOSO Andreina, Tradizioni popolari in Friuli vol. 2, Chiandetti Editore, Reana del Rojale, 1983.

• HARRISON Rodney, Il patrimonio culturale. Un approccio critico, a cura di V. Matera e L. Rimoldi, Pearson, Milano-Torino, 2020.

• PELLIZZER Ezio, Tarcint da l’aghe. Tarcint dal fuc, Poligrafiche San Marco, Cormons, 2001.

• TREPPO Paola, Pignarul. Storie di uomini e del ferro epifanico, Edizioni biblioteca dell’immagine, Pordenone, 2006.