Blognotes 08
Blognotes 13
numero 13

Il tema del numero è "IL DOPPIO"

Articolo presente in

Il tiglio delle checche

Andrea Crozzoli
Il tiglio delle checche

La Val d’Orcia, nel sud della Toscana, vicina al confine con l’Umbria e alle pendici del monte Amiata, prende il nome dal fiume Orcia che la attraversa ed è stata inserita nel 2004 nella World Heritage List-Patrimonio dell’Umanità UNESCO. La valle, oggi, è quello che resta di un luogo in cui la protagonista assoluta era una natura strepitosa fatta di boschi di querce, costellata da borghi di stampo medievale come Pienza, Montalcino, Castiglione d’Orcia e San Quirico d’Orcia. Tutti borghi sviluppatisi intorno al 1000-1100 grazie anche alla via Francigena che collegava la Francia e il nord Italia con Roma.

Fino alla metà del 1600 la piana dell’Orcia risultava ancora coperta di boschi, di grandi querce, come vediamo nei quadri dei pittori rinascimentali. Sarà solo nell’ottocento che il disboscamento assumerà una dimensione pressoché totale con la realizzazione della ferrovia Roma-Firenze di circa 260 chilometri. Sono, infatti, oltre 1.600 le traverse in legno necessarie per un chilometro di ferrovia e il taglio delle querce assumerà una dimensione sistematica per far fronte alle centinaia di migliaia di traverse necessarie alla ferrovia. Oggi nella piana fra Pienza e Montichiello, in perfetta solitudine, è rimasta solo lei: la Quercia delle Checche (così chiamano le gazze in Toscana) magnifico esemplare di Quercus pubescens-Fagaceae: roverella che ha almeno 380 anni ed è alta 22 metri con un fusto di 4,5 metri di perimetro e una splendida chioma che può raggiungere un diametro di 34 metri. È documentata la sosta dell’esercito napoleonico sotto le sue fronde.

Nel corso della sua lunga esistenza la quercia, sempre più maestosa, è diventata un luogo di incontro e di scambi: dai cortei nunziali a vedetta per i partigiani. Un pellegrinaggio continuo di persone. Solo nel giugno del 2017 però il MIBACT ha riconosciuto la Quercia delle Checche come un bene immobile da sottoporre a tutela, classificata come albero monumentale perché “di particolare interesse pubblico”; ottenendo così il riconoscimento di primo Monumento Verde d’Italia.

Chissà quale aspetto assumerà all’ex Fiera di Pordenone, fra trecento anni, quell’unico “tiglio delle checche” (avrà allora 380 anni) che sarà sopravvissuto impavidamente alla furia devastatrice della “riqualificazione” in nome di uno sviluppo senza progresso. Quel tiglio all’ombra del quale agli inizi del terzo millennio giocavano a basket numerosi gruppi di giovani. Non abbiamo la verità in tasca, non sappiamo che cosa accadrà nel futuro ma possiamo già fare delle considerazioni con gli elementi che abbiamo sotto gli occhi. Il clima sta velocemente cambiando, gli eventi estremi come grandine e forti temporali sono sempre più frequenti, le ondate di calore sempre più opprimenti. In questo scenario gli alberi rappresentano una fonte inesauribile di ossigeno, ombra, fresco e quindi qualità della vita. Se a tutto questo aggiungiamo poi “l’inverno demografico”, come viene eufemisticamente definito il calo della popolazione, non possiamo che prevedere un futuro distopico. Molte scuole elementari a settembre non avranno la prima per mancanza di alunni. Negli ultimi cinque anni in Italia sono scomparsi 200 mila alunni, non iscritti alle scuola primaria. Una città grande come Padova svanita. Nel 2028, nella scuola dell’infanzia, la riduzione delle sezioni raggiungerà quota 6.300 il che significa un quarto in meno di iscritti rispetto ad oggi. 

Difronte a questi scenari la soluzione che i nostri amministratori hanno scelto è quella di accelerare la desertificazione in città tagliando un parco alberi di notevoli dimensioni e sostituire un campo da basket ora frequentatissimo dai ragazzi con una mega struttura metallica a più piani chiamata Polo Young che sarà pronta solamente fra qualche anno.

foto di Andrea Crozzoli

Se la querciona della Val d’Orcia è circondata dal verde e da alti cipressi sulla costa delle colline toscane, il pordenonese tiglio fra trecento anni sarà circondato da arrugginite strutture in ferro che un Pnrr dell’epoca ha permesso di erigere; da fatiscenti condomini di dodici e più piani che avranno subito svariate riqualificazioni al polistirolo espanso. Tutto questo grazie alla furiaq devastatrice della “riqualificazione”!

Del resto Pordenone nel corso della sua storia ha dovuto subire diversi devastanti scempi sotto il segno del progresso e della “riqualificazione” a cominciare dal grande parco con alberi secolari e rogge che circondava la villa Ottoboni. Questo intendono lasciare a chi verrà dopo di noi!