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RISCHIO è il tema del numero più recente di Blognotes 16

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Cocco, il partigiano di un’etica che non c’è più

di Anna Piazza

8.222 km, 37 giorni di viaggio da Pozzis, borgo pressoché fantasma a Verzegnis – Udine, fino a Samarcanda – Uzbekistan.

Protagonista di questo viaggio epico in sella alla sua Harley-Davidson del 1939, documentato nel docu-film del giovane regista friulano Stefano GiacomuzziPozzis, Samarcanda, è Alfeo Carnelutti, da tutti conosciuto come “Cocco”, unico – e fiero – abitante di Pozzis dal 1983.

Classe 1944 con la passione fin da giovanissimo per le moto e una vita travagliata, fatta di avventure e dolori. Gira il mondo lavorando come muratore, in Svizzera, Francia e Libia, poi torna in Italia nel ’69. Due matrimoni, 4 figli e un incidente, grave, durante una gara in Germania lo costringe in ospedale per un anno e mezzo in chirurgia d’urgenza, dove sviluppa il morbo di Crohn. Uscito dall’ospedale nel 1982, decide di cambiar vita ed eccolo arrivare a Pozzis dove trova la tranquillità, e istituisce, con tanto di cartello posto all’entrata del paesino, la repubblica libera di Pozzis.

In questi ultimi mesi, la figura del Cocco ritorna alla ribalta grazie allavisibilità data dal successo di botteghino del film di Stefano, che ne racconta, con molta delicatezza l’animo ma anche il viaggio che sa quasi di espiazione, di rinascita se così può essere definita.

Un’amicizia improbabile la loro: viene da chiederci cosa possano condividere un ragazzo di 25 anni con un personaggio ecclettico e caustico di 73…

E invece c’è molto da dire ma soprattutto da vedere. La curiosità di un giovane regista fresco di laurea alla Bournemouth Film School di Londra, che ritorna nel suo Friuli in cerca di una storia da raccontare. Viene a conoscenza dell’esistenza di Cocco e dei suoi trascorsi, e si reca a Pozzis per incontrarlo, deciso a farci un documentario. L’uomo accetta, e da lì inizia il sodalizio.

Nasce così, prima del film, il cortometraggio “Re Cocco” in cui Alfeo dopo una prima diffidenza iniziale che lascia spazio alla simpatia, racconta con piglio vero, la sua vita.

Perché Cocco prima di essere ricordato per il suo viaggio in moto, è noto per un fatto di cronaca dai contorni ancora oscuri, risalente agli anni ’90.

I fatti sembrano presto raccontati: una giovane prostituta albanese, poco più che vent’enne uccisa a Pozzis da Cocco.

Al rifiuto di Giuliana di svelare i nomi degli sfruttatori di Albana, anche lei abanese convivente dell’uomo e fuggita dal racket della prostituzione, Cocco l’avrebbe uccisa, sparandole un colpo alla schiena e uno alla nuca con una pistola calibro 38 per successivamente occultarne il corpo.

Solo nel 1999 la polizia apprese dell’omicidio, su segnalazione proprio di Albana, che nel frattempo aveva lasciato il compagno.

Raggiunto a Pozzis dalle forze dell’ordine, Alfeo confessò la sua colpa e portò gli agenti sul luogo dove la vittima era stata sepolta.

Fu così che nel 2000, l’uomo fu condannato, con rito abbreviato, a 12 anni e 4 mesi di carcere (pena confermata in Appello e Cassazione), nonostante l’aiuto degli amici che avevano fatto colletta per aiutarlo nella vicenda legale.


Fino al 2001, Giuliana era rimasta senza identità: di lei si sapevano solo la nazionalità e, appunto, il nome scelto nel suo ambiente. La ragazza uccisa, era stata identificata solo dopo che il Gazzettino aveva fornito le sue foto a un quotidiano di Tirana. La famiglia di Entela Zaçaj (vero nome della vittima), originaria di Kuman (paese di 7mila abitanti) non aveva avuto più sue notizie dal 1996. La credevano felice in Italia, dove la giovane aveva raccontato di essersi sposata nascondendo, come accade sovente, di esser stata costretta a prostituirsi.

Questi i fatti in sintesi riportati da numerose agenzie di stampa, all’epoca. Ma se si ascolta le parole del Cocco si evince un’altra verità, personale certo, ma che dovrebbe quantomeno infondere il dubbio su come realmente sono andate le cose: Lui stesso, all’interno del cortometraggio di Giacomuzzi – Re Cocco – racconta di come l’esperienza della prigione lo abbia cambiato in meglio, e di come sia stato ben più traumatico essere ricoverato in ospedale a Udine, piuttosto che in carcere a Tolmezzo, dove tutti – o quasi – lo conoscevano. Spontaneamente si dichiarò colpevole, assumendosi la colpa anche se nessuno ancora oggi sa davvero come andarono le cose. Però la maggior parte delle persone, soprattutto coloro che conoscono il Cocco, non credono nella sua colpevolezza. Lo stesso Alfeo non si sbilancia: l’unica affermazione che fa è che non avrebbe dovuto incontrare le persone che invece ha incontrato e delle quali in una certa misura, si è fidato.

Poco importa ora, dopo tanti anni, della verità in sé, Cocco resta per tutti un personaggio controverso ma dagli aspetti gentili, un nomade moderno, con una vita intensa e piena.

Definito come “l’ultimo difensore di un mondo perduto, il partigiano di un’etica che non c’è più”, da Mauro Daltin nel suo libro L’ultimo avamposto del mondo (Biblioteca dell’Immagine, 2014), di Cocco si può dire tutto e nulla, ci si può appassionare alla sua figura come rifuggirne. Sta di fatto però, che nella vita si attraversano strade sterrate e polverose, incerte e pericolose, ma come dice lo stesso Cocco, sarà sempre meglio un brutto processo di un buon funerale.