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Blognotes 08
Blognotes 14
numero 14

Il tema del numero è "CONTAMINAZIONI"

Articolo presente in

Un mondo bicefalo come l’aquila che lo rappresentava

di Enzo Marigliano

Tutto finisce nel 1914 quando l’immane tuono di mille e mille cannoni segna la fine del mondo estetico-borghese austroungarico, ovvero quanto di più “doppio” sia mai esistito nel tragico periodo racchiuso dal “secolo breve”.

L’Impero Austroungarico viene cancellato chiudendo non solo una storia statuale ma anche un complesso ed affascinante viluppo di arte, letteratura, musica che si volle poi definire “Mitteleuropa” finendo con l’affascinare intere generazioni di intellettuali e gente comune che, per paradosso, ne cantarono le lodi “in articulo mortis” rappresentando, quand’era già conclusa la sua parabola, ch’era stato un periodo di ordine, felicità, serenità, vivisezionato nei suoi dettagli da Claudio Magris ne «Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna».

Quando mi si è chiesta una riflessione sul concetto di “doppio”, non ho potuto fare a meno di pensare subito alla “Mitteleuropa” perché, come in un gioco di  scatole cinesi, lungo tutto il regno di Francesco Giuseppe si sedimentarono in ogni angolo della vita quotidiana dei tanti popoli che ne costituivano l’ossatura, una miriade di “doppi”: amministrativi, politici, religiosi e culturali, caldeggiati e volutamente coccolati dal paternalismo imperial regio.

Famiglia di Francesco Giuseppe. 31 dicembre 1859. Pubblico dominio da Wikimedia Commons

Il vocabolo tedesco “Mitteleuropa” («Europa di mezzo» o «Centro Europa») designò l’Europa centrale o danubiana e fece il suo ingresso nel vocabolario tedesco proprio nel 1914 grazie a Franz Leopold Neumann, al preciso scopo d’evocare l’ambiente, soprattutto culturale, dell’Impero Asburgico al suo apice.

Per 2.888 Km. il Danubio, la cui paternità è contesa tra Fustwagen e Donauschingen, due paesi, mentre, in realtà pare che le sue sorgenti  si trovino nella Berg – come chiarisce Magris nel suo «Danubio»  – fece da collante a questa grande operazione di acculturazione ed inculturazione dei popoli e delle etnie governate da Vienna che faceva, benignamente, intendere d’operare di concerto con Praga, Budapest e Trieste che, pur essendo fra loro diversissime, si sussumevano tutte nell’unico riferimento centrale. Una pluralità che si fa chiave interpretativa del tutto!

L’immenso corso fluviale, infatti, finendo col gettarsi nel Mar Nero portava con se un caleidoscopio di realtà diversissime, di babele linguistiche, tradizioni culinarie, miti e leggende poste a base d’un crogiuolo di culture persino opposte l’une alle altre ma il cui comun denominatore finiva con l’essere proprio lui, il grande fiume. Attraversando ben cinque realtà nazionali, il Danubio finiva con l’essere la rappresentazione tangibile dell’aquila bicipite degli Asburgo, massimo emblema del doppio, “dell’unità nella diversità” in cui si riconoscevano Germania, Austria, Slovacchia, Ungheria, buona parte del nord Italia, parte determinante dell’area balcanica fino alle propaggini macedoni, Bulgaria e Romania.

Le sue placide acque erano vissute come il cuore pulsante dell’Impero, o, come si diceva allora, di Vienna “…dove è splendido vivere, città gaudente, raffinata e cosmopolita, capitale di un paese di geni poiché qui avevano confluito tutte le correnti della cultura europea”.

L’Impero era esso stesso un “doppio”, nella sua consapevole scelta di configurarsi come “una Grande Svizzera”, civile e armoniosa, pittoresco e composito mosaico che riuniva “…le Alpi del Tirolo, i Salzkammergut, i dolci orizzonti della Boemia, gli altipiani selvaggi del Carso, le rigogliose contrade dell’Adriatico, i palazzi di Vienna, le chiese di Salisburgo […], le vaste steppe della Puzsta […], gli altipiani dei Carpazi e i bassipiani del Danubio, con tutte le meraviglie del suo bacino fluviale, con le sue praterie ricche di uccelli e le grandi isole popolose del suo affluente, il Tibisco.”

Trieste, foto di Zeno Rigato

In ogni discorso o atto politico–amministrativo, l’Imperatore esordiva con la locuzione “…miei popoli…” (Meine Völker) che, non casualmente, farà da netto contraltare, da cesura definitiva e insanabile con il linguaggio che, dal 1933 in poi, verrà adottato per dodici anni dal caporale austriaco Adolf Hitler, assurto a Führer: “Ein Volk, ein Reich, ein  Führer” (“Un popolo, un Reich, un Führer”).

Così come non è un caso che, fin dagli esordi, la “Mitteleuropa” venne proposta in una poliedricità di chiavi di lettura, tutte, comunque, comprendenti sopra ogni cosa la visione plurinazionale senza operare una “reductio ad unum” che, in realtà si realizzava nella figura stessa dell’Imperatore e questo perché la “Mitteleuropa”, fin dalla culla, era presentata ai suoi popoli, ed al mondo, appunto con la vocazione al doppio.

Nel 1840 il pittore Wilhelm List, personaggio chiave della corrente artistica nota come “secessione viennese”, la propose come grande spazio culturale, (ma anche economico), da contrapporsi all’egemonia inglese e francese. Nello stesso anno il cancelliere austriaco Felix Schwarzenberg ipotizzava un modello, che definì “dei Grandi Tedeschi”, che, pur mettendo al centro l’Austria, negava ogni deriva nazionalistica lanciando l’idea di progressivi spazi di autodeterminazione culturale da concedere alle aree periferiche ed alle loro etnie purché agissero “dentro” il perimetro proposto da Vienna. Il pubblicista conservatore Michael Viethaler Frantz vi intravvedeva l’ipotesi d’una entità sovranazionale, incentrata sull’Austria quale elemento propulsore ma capace di agire senza autocratismi, da contrapporre alla prospettiva di Bismarck, e dunque contrario alla tesi di Schwarzenberg, nella quale, in filigrana, leggeva il pericolo del pangermanesimo.

Dall’altro lato l’austroslavismo, pur confermando i due poli cruciali della sovranazionalità e della centralità asburgica, con l’irrinunciabile ruolo da perno dell’Austria, formulò l’idea di un Impero federale quale garante delle nazionalità minori del centro Europa contro la duplice pressione del pan germanesimo e del panslavismo russo. Per paradosso persino il cosiddetto “austro marxismo”, rappresentato dal Partito Socialdemocratico che, in linea di principio, avrebbe dovuto propugnare l’internazionalismo proletario, non disdegnò l’ipotesi federale attorno all’Austria, giungendo a far dire a taluni dirigenti che poteva pur essere esaminata l’ipotesi di un’unione federale fra i popoli lavoratori di Germania (Prussia) ed Austria-Ungheria.

È incredibile che ancora nel 1918, ad un passo dall’esplosione dei nazionalismi che di lì a poco avrebbero prodotto due Guerre Mondiali i cui riflessi giungeranno fino ai nostri giorni con l’implosione balcanica e il conflitto in Bosnia, Serbia e Kossovo, sia stato possibile che l’Impero asburgico chiedesse, e soprattutto ottenesse, da ciascuno dei suoi sudditi di essere non soltanto “…un tedesco, un ruteno, un polacco, un boemo, un tirolese, un triestino, un trentino, un serbo-croato ma qualcosa di più, qualcosa al di sopra….” in nome d’un armonia sovranazionale che avrebbe dovuto superare tutte le barriere, facendo in modo – per dirla con Franz Werfel – che “…il centro si facesse interprete della periferia e viceversa”.

Autoritratto di Wilheim List.
Das Bild ist in Privatbesitz, Foto Selbst Erstellt. Pubblico Dominio da Wikimedia Commons

Francesco Giuseppe, in questo, fu lungimirante: consapevole d’essere circondato da realtà forti e centralizzate (la Francia ad Ovest, la Prussia a nord, la Russia ad est) unificò l’Impero attraverso un’azione di rifiuto dei nazionalismi più accesi attraverso quello che Magris definisce “…retrogrado immobilismo che viene, cioè, rivestito di un profondo significato che assurge a manifestazione di superiore saggezza: così i limiti e i difetti diventano pregi e virtù. La lenta impotenza diviene perciò statica, grandiosa, si trasforma da causa in rimedio della labile condizione politica, in quanto [….] questa inerzia scaturiva dalla consapevolezza che ogni passo, anche il più piccolo, era un passo nell’abisso.” 

Continuiamo a seguire il ragionamento di Werfel condensato da Magris perché illuminante del doppio posto al centro di questa riflessione: “…Si agiva in quel paese – e talvolta sino ai supremi gradi della passione e alle sue conseguenze – sempre diversamente da quel che si pensava, oppure si pensava in un modo e si agiva in un altro […] la figura del burocrate riassume l’essenza dell’impero, i suoi metodi di governo e i suoi immobili valori, la panacea politica contro il dinamico incalzare del tempo e i fermenti centrifughi. Senso dell’ordine e della gerarchia, avversione ad ogni titanismo e rinuncia attiva ad ogni trasformazione delle cose vengono sublimate nel burocrate, che ricorre in tutta la letteratura austriaca, da Grillparzer a Musil, e si esprime fin nella voce del signor von Trotta «burocratica, lenta e un po’ nasale» .

Ritratto del Cancelliere austriaco Felix Schwarzenberg. Foto di Pubblico dominio da Wikimedia Commons.

La capacità della costruzione istituzionale e della fascinazione culturale dell’Impero Austro Ungarico (e della “Mitteleuropa”), accentuatasi dopo la sua caduta, sta appunto in questo: mentre le altre nazioni del continente si lanciavano a capofitto nelle convulsioni iper-nazionalistiche e nelle abbacinanti avventure del futuro a portata di mano, grazie al dinamismo rappresentato visivamente dai futuristi, la “Cacania”, di cui parla Musil, erge se stessa e la sua azione come cifra identitaria nel suo consapevole muoversi pachidermico, difensivo del mantenimento dello status quo presentato, ai popoli che ne compongono il mosaico strutturale, come una scelta saggia: sola ed unica in grado di preservare il proprio mondo senza incorrere in scossoni. Ecco: il doppio pensiero che produsse un duplice modo d’agire pur operando in un mondo esterno che, invece, a tutti, dall’Imperatore all’ultima lavandaia, appariva comunque in perenne movimento attorno a se, ma in cui era comodo e funzionale stare assolutamente fermi producendo un vero e proprio complesso d’inconsci comportamenti e modi di pensare .

  5 Cfr. Claudio Magris «Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna» Torino, Einaudi, 1988.

  6 Cfr. Claudio Magris «Danubio» Prefaz. Gianluigi Beccaria. Torino, Einaudi, 2015.

  7 Franz Werfel cit. da Claudo Magris in «Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna» pag.18.

  8 Cfr. Jura Soyfer «Così morì un partito», Prefazione di Eugenio Spedicato, Genova, Marietti Ed., 1988.

  9 Franz Werfel cit. da Claudo Magris in «Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna» pag. 20.

  10 Franz Werfel cit. da Claudo Magris in «Il mito asburgico nella letteratura austriaca moderna» pag. 23.

  11 Il termine si ritrova per la prima volta in Musil. Nell’Austria degli Asburgo tutto era “Imperial-regio”, Kaiser-Königlich, abbreviato in K.K. che si pronuncia kaka da cui, ironicamente, Musil trasse la locuzione Cacania. Cfr. Robert Musil «L’uomo senza qualità» Torino, Einaudi, 1972. Vol. I, cap. 8, pag. 26.

 12 Cfr. Carolus L. Cergoly «Il complesso dell’Imperatore. Collages di fantasie e memorie di un mitteleuropeo», Milano, Arnoldo Mondadori Ed., 1979.