Società liquida, società dello spettacolo, società rumorosa, società dell’accelerazione…sono solo alcune delle definizioni che usiamo per rappresentare la nostra società.
Possiamo definirla anche società del rischio? Io penso di si, in quanto i ”fattori di rischio” sembrano diventare sempre più presenti e preoccupanti.
Per cominciare consideriamo il prepotente avanzare della tecnologia. Si inventano strumenti sempre più potenti, affascinanti, certamente utili ma anche potenzialmente pericolosi. Prima di tutto dobbiamo fare i conti con la loro capacità di sostituire le attitudini dell’essere umano senza che questi generalmente se ne renda conto. Le nostre auto sono ormai tutte dotate di navigatore satellitare e noi andiamo perdendo la capacità di orientamento. I nostri computer sono provvisti di un’enormità di dati fruibili velocemente in ogni istante e noi ci stiamo abituando ad usare sempre meno la nostra memoria. Lettura e scrittura digitale fanno ormai parte del nostro vivere quotidiano, permettendo sicuramente maggiori velocità e precisione, ma sono velocità e precisione sempre più delegate alla macchina, mentre noi andiamo abbassando gradualmente la capacità di riflessione e l’attitudine a mantenere vivo il nostro spirito critico.
Curioso può essere un episodio da me vissuto alcuni anni fa in libreria. Stavo parlando delle nuove tecnologie con una maestra accompagnata dal figliolo, che poteva avere sette o otto anni. La signora esprimeva molti timori e prese di distanza e ad un certo punto il ragazzo se n’è uscito con un ”mamma, scusa, ma non ci sei proprio!”. Mi è venuto spontaneo ribattergli ”guarda che tu puoi anche avere ragione, ma non dimenticare che non bisogna mai abbandonare lo spirito critico”. Dopo un suo sorrisino smarrito ho chiesto ancora ”sai cosa significa spirito critico?”. Naturalmente mi ha risposto di no, per cui picchiettando le dita sulla mia testa gli ho spiegato che è importante non abbandonare l’uso del cervello. Da parte sua un sorrisino un po’ più convinto, ma a me è rimasto il dubbio di un messaggio non completamente recepito. Adesso questo ragazzo avrà dodici o tredici anni. Io non l’ho più incontrato e mi auguro che lui oggi sappia ragionare criticamente e non continui a bollare senza riserve le posizioni della propria madre.
Di fatto, recenti ricerche scientifiche rilevano che la parte anteriore del cervello sta subendo nei giovani una contrazione. Si tratta della parte del cervello legata al linguaggio, all’apprendimento, alla soluzione di problemi, ai movimenti volontari, quella parte da cui dipendono le capacità di concentrazione, riflessione, ragionamento (per approfondire può essere utile il volume di Claudio Mencacci e Giovanni Migliarese ”Quando tutto cambia. La salute psichica in adolescenza” edito da Pacini nel 2017 e uscito in una nuova versione aggiornata nel 2024).
Sarà interessante seguire gli sviluppi di queste ricerche, ma intanto credo ci siano sufficienti elementi di preoccupazione.
Il progresso non si fermerà e vedremo nascere nuovi strumenti sempre più sofisticati e affascinanti, capaci di catturare l’entusiasmo dei giovani e dei giovanissimi. Teniamo pure presente il fatto che dietro questi strumenti, tanto più quanto più essi sono potenti, c’è la presenza di operatori in grado di controllarli, pilotarli, usarli per i propri interessi, non sempre leciti e positivi.
Possiamo ben capire quanto sia importante mantenere il massimo di attenzione e osservazione critica, con la speranza che i giovani non si facciano dominare dalla velocità dei cambiamenti, dal fascino delle continue innovazioni, dal bisogno del consumo immediato.
Un ulteriore discorso va fatto per il fenomeno ormai dilagante delle ”false notizie” che vediamo circolare in modo sempre più massivo nei vari canali di comunicazione digitale. E qui il pericolo riguarda tutti, giovani e non giovani. Si è creata una grande piazza dominata dalla confusione, dalla gratuità degli interventi, dalla diffusione di notizie strumentali, spesso contraddittorie, capaci di annebbiare la nostra capacità di giudizio.
Ci sono diversi libri che affrontano questo tema. Ne indico due. Uno, appena uscito con Mondadori, è di Mattia Ferraresi (”I demoni della mente. Il racconto di un’epoca in cui non si ha fiducia in niente ma si crede a tutto”: mi pare che questo sottotitolo riassuma molto bene lo stato delle cose di cui stiamo parlando); l’altro è di Martina Benedetti (”Salvarsi da bufale e fake news” edito da Nutrimenti sempre quest’anno).
Le false notizie acquistano una particolare rilevanza quando vanno a toccare fatti umani molto gravi. In questo momento è inevitabile occuparci della guerra tra israeliani e palestinesi. Ognuno commenta a suo modo, non sempre con cognizione di causa e spesso partendo da posizioni preconcette. Di fronte a migliaia di vittime, la maggior parte innocenti, è gravissimo usare leggerezza, commentare in modo facile e istintivo. I fattori da considerare sono molti e interdipendenti. Le posizioni devono essere documentate e non unilaterali.
Mi ha destato un certo stupore il libro di Bernard-Henri Levy uscito il 13 settembre (”Solitudine di Israele” La Nave di Teseo): non discuto certo il fatto che l’autore sia adeguatamente documentato e capace di un’analisi intelligente, ma ancor più per questo mi stupisce la sua presa di posizione abbastanza a senso unico, tesa a sottolineare solo le ragioni di una parte come se l’altra avesse unicamente torti. Non intendo sostenere che le sue pagine contengano ”false notizie”, ma vorrei sottolineare la possibilità che esse vengano strumentalizzate da altri per diffondere vari tipi di ”fake news”.
Ho sentito e letto diversi commenti che non aiutano certo a a chiarire le idee, mentre possono rendere difficile il dialogo, la capacità di confronto e il tentativo di trovare delle soluzioni. Si rischia solo di alimentare l’odio e allontanare sempre più da opzioni di pace.
E’ del resto innegabile il costante aumento della carica di odio che pervade la ”rete dei social”, questa grande piazza ove sempre più dominano ignoranza e superficialità.
Tornando alla guerra vorrei suggerire il libro di Arturo Marzano (”Questa terra è nostra da sempre. Israele e Palestina” Laterza 2024) i cui meriti sono riassunti nelle pagine finali: ”questo libro non ha delle vere e proprie conclusioni…non era mia intenzione presentare una tesi specifica…questo libro non intende offrire certezze…il suo scopo è decostruire vulgate e narrazioni <<certe>> per porre questioni cui non è possibile dare risposte nette…tifare per una parte contro l’altra non serve a nulla…i legami tra israeliani e palestinesi sono talmente stretti che solo facendo il bene di entrami si sostiene la propria parte…”.
Ecco, credo che questa sia la mentalità da adottare. E’ l’invito a riflettere, documentarsi, confrontare seriamente le ragioni degli uni e degli altri; a non accettare di farsi influenzare dalle false notizie, anzi contrastarle e fare il possibile per renderle inefficaci.
Non è un compito facile, perché tanto è il frastuono e forte è la tentazione a semplificare.
Ma è un dovere che tutti abbiamo.
Vorrei affrontare un ultimo aspetto, che del resto è comunque legato alle guerre.
Tanta gente è costretta a migrare per sfuggire alla violenza, alla miseria, all’odio che sono conseguenze di ogni guerra. E’ gente che il ”rischio” lo corre ogni giorno, spesso in ogni attimo della giornata, incontrando trafficanti senza scrupoli, subendo torture di ogni genere, affrontando marce estenuanti, attraversando mari con barche pericolose, superando montagne senza avere abiti e cibo adeguati. Gente che corre il rischio di essere bloccata e ricacciata indietro alle varie frontiere, dovendo ricominciare tutto daccapo. Ma anche gente che alla fine ce la fa per poi trovarsi a correre comunque il rischio di essere rifiutata dal nuovo ambiente in cui è capitata.
Loro da una parte noi dall’altra.
Noi che corriamo sempre più fortemente il rischio della ”barbarie”.
Desidero allora riportare un passaggio tratto dalla presentazione dell’ultimo libro di Paolo Rumiz (”Verranno di notte. Lo spettro della barbarie in Europa” Feltrinelli 2024) che sottolinea con efficacia tale rischio e il suo legame con le false notizie che arrivano dalla rete: ”L’uomo nel buio sente che i barbari possono arrivare in qualsiasi momento, e capisce che non basta la parola <<fascismo>> a definirle. Dietro al fascismo c’era un’idea di società, dietro a costoro c’è un’identità costruita da influencer…Ed è di notte che essi si muovono, digitando parole di odio in rete. I nuovi barbari si servono meglio di chiunque altro di questa macchina perversa per occupare il vuoto politico lasciato da una sinistra inconsistente, lontana dal popolo e priva di etica”.
Ecco, abbiamo in qualche modo chiuso il cerchio, tracciato un percorso su cui riflettere.
Siamo partiti dal ”prepotente avanzare della tecnologia” per arrivare al rischio legato al modo in cui molti possono trasformarla in una ”macchina perversa”.
E’ un rischio che ci riguarda, che ci chiede riflessioni e risposte.
Indice
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