Parlando di salute, è bene rifarsi alla nostra Costituzione che, con l’art.32, ci dice: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. Tra l’altro la Costituzione italiana prevede (articoli 2, 32 e 41) la tutela della persona umana nella sua integrità psico-fisica come principio assoluto ai fini della predisposizione di condizioni ambientali sicure e salubri.
La nostra Costituzione, con l’art 32 e altri, ha inteso sancire che la salute non è solo un diritto fondamentale dell’uomo ma anche un interesse primario della collettività. È necessario quindi tutelare tale diritto a vantaggio non solo dei singoli ma di tutti. Dice ancora che lo Stato deve garantire l’accessibilità e la sostenibilità delle cure sanitarie anche agli “indigenti”. Inoltre, quando si parla di salute, come dice l’Organizzazione Mondiale della Sanità, non si parla solo di assenza della malattia ma di salute psicofisica-sociale perché un ambito influenza l’altro.
La legge 833 del 1978, superando i precedenti sistemi basati sulle mutue, ha introdotto un Servizio Sanitario Nazionale (SSN) basato sui principi di universalità, uguaglianza ed equità, sulla centralità della persona, la responsabilità pubblica per la tutela del diritto alla salute, la valorizzazione delle professionalità di chi opera in sanità, l’integrazione socio-sanitaria e la collaborazione tra i livelli di governo del SSN (Stato, Regioni, Enti Locali).
A che punto è, oggi, la Sanità Pubblica?
È malata e in fase terminale? Sembrerebbe di sì, se si considerano le carenze di personale, la sostanziale assenza di una medicina territoriale in grado di occuparsi di tutte quelle patologie che non dovrebbero intasare i Pronto Soccorso, il crescente fenomeno delle dimissioni dal SSN e la fuga all’estero o verso il privato di medici e infermieri, la sfiducia dei cittadini che si traduce con preoccupante frequenza in aggressione fisica nei confronti degli operatori sanitari esposti in prima linea, l’aumento di quanti rinunciano alle cure per i tempi insopportabilmente lunghi delle liste d’attesa. A questo punto, diventano molto seri i rischi della salute, soprattutto per le fasce deboli della popolazione: gli anziani, le categorie più fragili economicamente, i migranti.
Tutte le forze politiche pongono oggi il problema, dopo che per anni ci hanno ripetuto la menzogna della sanità migliore del mondo, incuranti – perché contrari ai loro interessi – dei segni di un rapido declino del sistema, presenti da tempo, ancora prima della pandemia da Covid 19.
Eppure, ancora adesso l’unica soluzione proposta è l’aumento della spesa sanitaria rispetto al PIL, che certamente è un problema, ma senza che si cerchi di capire le vere cause della crisi, legate alle scelte scellerate degli ultimi 25 anni.
Oggi la sanità soffoca per un progressivo eccesso di burocrazia che ha emarginato chi nella Sanità Pubblica opera (medici e infermieri), attenta più a gestire sprechi e clientele che sottraggono una enorme quantità di risorse allo scopo per cui vengono erogate, ovvero la cura dei malati.
Prendere atto del fallimento della gestione del sistema, saldamente in mano alla politica regionale, presupporrebbe una dura autocritica relativamente alle scelte fatte nel passato, soprattutto alle riforme ideologiche susseguitesi negli ultimi 25 anni.
Se oggi la sanità pubblica soffre per la fuga di tanti operatori bravi e ben accolti all’estero e nel privato, non lo si deve soltanto al basso livello delle retribuzioni: lo si deve soprattutto alla impossibilità di svolgere il proprio lavoro con la dignità che ci si aspetterebbe e senza dovere sottostare al potere di una burocrazia spesso ignorante dei problemi che è chiamata a gestire, sempre più pervasiva e insopportabilmente arrogante.
Medici e infermieri vengono lasciati soli, esposti sempre più frequentemente alla rabbia dei cittadini. E proprio chi oggi lancia l’allarme – media e amministratori – ha creato e contribuito negli anni a fare crescere la sfiducia nei confronti del personale sanitario. Articoli urlati in prima pagina su presunti errori, se non addirittura criminale imperizia, poi finiti in un nulla di fatto alla prova della magistratura; direttori generali e direttori sanitari, reali responsabili dei disservizi e delle inadeguatezze tecnologiche, pronti ad accusare e promettere punizioni esemplari nei confronti dei loro dipendenti.
Per non parlare poi degli assessori alla sanità: i primi a puntare il dito in favore di telecamera, anche per distogliere l’attenzione dalle loro politiche fallimentari e clientelari. Altro che mero problema economico. Fino a quando le forze politiche non capiranno che il nostro sistema sanitario va riformato dalle sue radici, accettando di fare un passo indietro rispetto ad una gestione clientelare, non solo la situazione non è destinata a migliorare – per quante risorse economiche si possano impiegare – ma la sua fine come sistema pubblico universalistico e solidale appare inevitabile. Per fare questo occorrono cultura politica e volontà di agire per il bene dei cittadini e non per l’interesse delle proprie corti.
La situazione sanitaria, ad oggi, nella nostra Regione
Prima del periodo pandemico sono emersi problemi e disagi, per cittadine/i e per operatrici/operatori, legati a cause “strutturali” quali la trasformazione delle U.S.L. in Aziende, la mancata programmazione dei fabbisogni di personale a cui si sono aggiunti l’impoverimento del contratto di lavoro dei dipendenti del servizio sanitario e la perdita di potere decisionale degli enti locali, dei cittadini e delle associazioni. In questi anni, un bilancio regionale ricco di fondi, la maggior parte indirizzata verso la spesa sanitaria, le attuali scelte del governo regionale con uno spostamento di soldi verso la sanità privata fanno perdere peso e valore alla sanità pubblica. Gli anni pesanti e difficili della pandemia, che pensavamo potessero aver fornito utili spunti per la programmazione di interventi di prevenzione, cura e riabilitazione sembrano purtroppo trascorsi senza lasciare alcuna traccia in tal senso. Emerge oggi un dato preoccupante e rischioso: anche in FVG quasi il 10% della popolazione è costretta a rinunciare alle cure. Poiché pesano le sempre minori risorse socio economiche, le liste d’attesa infinite, le gravi carenze di personale e dei Medici di Medicina Generale (MMG). Si pongono, con sempre maggiore drammaticità, problemi e difficoltà in tanti settori del nostro Servizio Sanitario Regionale (SSR) sia ospedaliero che territoriale. Così, se fino a qualche anno fa, la percezione popolare era di godere in FVG di un buon SSR, ora la sensazione generalizzata è che non vi siano più punti di tenuta. Ciò vale sia per le eccellenze cliniche regionali spesso in difficoltà sia per i servizi di base che oggi sono in grande affanno: dai consultori familiari ai dipartimenti di salute mentale e delle dipendenze, dalle microaree triestine ai distretti montani e rurali. Situazioni drammatiche coinvolgono pronto soccorso, diagnostica per immagini e laboratori analisi, oltre al sistema delle cure primarie, dalla medicina generale ai servizi di continuità assistenziale. La crisi della organizzazione e dei servizi dei distretti socio sanitari è accentuata dall’ assenza dei Piani di Zona, dalle debolezze dei Programmi di Attività Territoriali e dalla carenza di MMG. Tutte queste criticità non si risolvono con la diffusione degli ASAP (Ambulatori Sperimentali di Assistenza Primaria), perchè in mancanza di MMG. Gli ASAP non possono garantire continuità di cura e presa in carico dei pazienti.
Noi cittadini vorremmo un Servizio Sanitario non interessato solo alle prestazioni ma che, anziché occuparsi di produzione di utili e di assetti gerarchici, si occupasse della Salute della Comunità. Quindi un sistema sanitario impegnato nella presa in carico della prevenzione collettiva e nei percorsi di salute individuali attraverso reti clinico-assistenziali, attente all’insorgenza delle malattie e alla loro espressione multifattoriale, capaci di dialogare con tutti i soggetti che costituiscono il tessuto del territorio.
Diventa urgente progettare percorsi condivisi e concreti per la ricostruzione dei servizi della sanità pubblica in una ottica di coesione sociale, dando ampio spazio e valore alla partecipazione dei lavoratori dei servizi sanitari e sociali, degli amministratori, delle cittadine e dei cittadini singoli e associati. Per riprogettare il SSR raccomandiamo di valutare il contesto sia clinico che socio-territoriale, coinvolgendo necessariamente le comunità interessate (Amministrazioni e cittadine/i) prima di ogni proposta di verifica delle scelte organizzative finora attuate. Ciò vale soprattutto per qualsiasi modifica con ampliamento, riduzioni e concentrazioni di organizzazioni e servizi e/o strutture, con particolare attenzione a: distretti, punti nascita, reti oncologiche, e alcune specialità della prevenzione e della riabilitazione, della salute mentale, per adulti e minori, delle tossicodipendenze nonché la situazione delle carceri e dei Cpr (Centri di permanenza e rimpatrio per i migranti).
Testimonianze
Cristina Gattel, infermiera presso l’Unità di Terapia Intensiva Cardiologica, nell’Ospedale Civile “Santa Maria degli Angeli”, Pordenone
“La prima parola che mi viene in mente pensando al periodo storico/sociale/politico che la Sanità sta attraversando è fragilità. Una fragilità individuale che investe ogni singola persona che si trova a dover affrontare spesso un lungo cammino post-acuto, che si trasforma in un percorso cronico, nel quale la/il paziente si trova ad affrontare criticità e rischi di tipo assistenziale, economico e/o riabilitativo.
L’altra fragilità è collettiva, cioè sociale, comune a tutti, perché spesso le aspettative e le possibilità di poter vedere soddisfatto un bisogno, come quello del diritto alla salute, purtroppo sta venendo meno, nonostante tutti gli sforzi che i professionisti sanitari continuano a fare.
Di conseguenza, quali i rischi?
Il primo è quello di dover rinunciare al diritto alla cura, diritto sancito dalla nostra Costituzione. Succede a moltissimi cittadini delle fasce più fragili che non hanno possibilità economiche e quindi non possono permettersi di pagarsi le cure. La costante rincorsa alla privatizzazione, soluzione tampone di una visione politica poco lungimirante, sta mettendo in ginocchio moltissimi cittadini che, non avendo possibilità economica, si ritrovano a dover rinunciare al diritto alla cura, un diritto primario sancito dalla nostra Costituzione.
Cosa farei se fossi un dirigente o un politico?
Investirei di più sul capitale umano: lo riconoscerei dal punto di vista giuridico, professionale, economico e sociale. Cosa ce ne facciamo di contenitori se non abbiamo il contenuto?
Per prendersi cura delle persone e di ogni singolo cittadino, anche gli Operatori devono essere in salute.
Sia il professionista sanitario, sia il politico hanno il dovere di prendersi in carico un bene comune, collettivo, che è quello del benessere fisico/sociale/psichico di ogni individuo.
Un politico, un dirigente deve assumersi la responsabilità di vedere la realtà: considerare le differenze tra Sanità Pubblica e Sanità Privata, di conseguenza mettere in sicurezza la salute dei cittadini.
Non è possibile rimanere a guardare l’inarrestabile e irresistibile forza del denaro che inghiotte il diritto alla salute.
Il volontariato e il terzo settore svolgono da sempre un lavoro straordinario e importantissimo per la Comunità, spesso ancora di salvezza per moltissime persone.
Altresì, noi operatori sanitari, da qualche anno, stiamo affrontando fragilità e rischi, ogni volta che non veniamo messi nelle condizioni ottimali e favorevoli per poter rispondere ad ogni richiesta di salute. Di fronte a questo ci sentiamo impotenti e, spesso, ne veniamo fuori feriti!
Ma non vinti se sapremo avere davvero una visione lungimirante per ricostruire i principi fondamentali su cui si basa il SSN e che sono:
UNIVERSALITÀ UGUAGLIANZA EQUITÀ: questo significa poter garantire assistenza, diagnosi e cura a tutta la popolazione!”
Giovanna Rossi, educatrice professionale ed Expert Counselor, collabora con l’Associazione Familiari Alzheimer Pordenone dal 2009 nelle attività di supporto ai familiari di persone con demenza.
“Se parliamo di Sanità Pubblica, noi di AFAP onlus (Associazione Familiari Alzheimer Pordenone) abbiamo verificato, in tanti anni di attività, che i malati di demenza non sono presi in carico dal SSR.
Più precisamente esiste presso il nostro ospedale, a Pordenone, la possibilità di essere visitati, con tempi di attesa molto lunghi, da un neurologo che prescrive una serie di esami per accertare l’insorgenza della malattia neuro-degenerativa.
Quindi, una volta accertata la malattia, si viene rimandati al proprio medico di medicina generale per i farmaci e per procedere nel lungo e faticoso percorso di cura e di assistenza. Poi ci si rivolge ai Servizi Socio Sanitari che prendono in carico il malato con tutta la famiglia…Infatti non bisogna MAI dimenticare che soprattutto i familiari, in presenza di malattia dementigena, sono totalmente coinvolti e rischiano continuamente situazioni di burnout.
Tra i gruppi AMA (Auto Mutuo Aiuto) numerosi e attivi all’interno della nostra Associazione verifichiamo continuamente situazioni di sofferenza psichica che interessano tutto il nucleo familiare, con forme e reazioni talvolta esasperate! Non è facile accettare che un tuo congiunto (madre, padre, coniuge) sia affetto da demenza!
Le ricadute di questa malattia degenerativa pesano su tutta la famiglia, con costi alti sia economici che psichici. E, talvolta, anche di disgregazione del nucleo familiare!
Per quanto riguarda la nostra esperienza, come AFAP, possiamo dire che “copriamo” i vuoti della Sanità Pubblica. Nel senso che, quando una famiglia si rivolge a noi, cerchiamo di seguirla, con il nostro personale specializzato (psicologi, counselor, volontari) lungo tutto il percorso di diagnosi e cura.
In qualche misura copriamo un vuoto del servizio sanitario pubblico. Cercando di fornire alle famiglie in difficoltà soluzioni possibili, in collaborazione con gli ambiti socio-sanitari della provincia.
Diverse attività, come i gruppi di auto-mutuo-aiuto per i familiari o i gruppi di stimolazione cognitiva per i malati, le svolgiamo nella nostra sede che si trova in Largo Cervignano 19/A a Pordenone.
E anche le letture della Memoria le facciamo nella nostra sede, con delle volontarie che hanno raccolto, in passato, e continuano a raccogliere le Storie degli anziani fragili. Un’attività che cerca di riallacciare i fili, ormai spezzati, della memoria individuale e collettiva, in vista anche di una restituzione di dignità per l’anziano/a fragile!
L’autrice ringrazia di cuore, per le info e i contributi, le compagne e i compagni di percorso dei due Comitati per la Salute: il COMITATO SALUTE PUBBLICA bene comune di Pordenone e il Coordinamento Salute FVG
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