6 maggio 1976 – 6 maggio 2025: quasi dieci lustri. Forse una espressione poco adatta, luccicante, per connotare il tempo passato dalla sera del terremoto; l’anno prossimo saranno trascorsi cinquant’anni. Per chi lo ha vissuto resta memoria negli occhi, nel sentimento, nei sensi: un ricordo che a volte ri-emerge, pervaso da un leggero pulviscolo, sospeso nell’aria anche dopo molto tempo, come quando i muri si sbriciolano. Anche dentro si erano sbriciolati, e continuavano a ricomparire così all’improvviso, anche dopo anni ed anni, magari solo per la vibrazione della metropolitana con ansia e panico.
Rimane, sfumata dagli anni, la memoria del corpo, delle dita graffiate a sangue per aver scavato con le sole mani. In quegli anni non si parlava di stress post traumatico.
Per fortuna il tempo cura e oggi la forza della ricostruzione ha riportato la vita. Chi ha vissuto un trauma conserva sia immagini di bellezza ed appartenenza al mondo che c’era e anche di distruzione.
Spesso mi son chiesta se quello che avevo inciso nei ricordi, la gente, le case, le piazze, i giardini, i balconi, non fossero stati solamente un sogno, perché non c’erano più, ma continuavano a ricomparire nei sogni notturni. Ogni volta un po’ diversi, ma il ricordo non voleva sbriciolarsi defitivamente, continuava a tenere su un muro, un pezzo di terrazza di casa mia, un pezzo del Castello.
La risposta interiore è in un sentimento, struggente ed indelebile, per un mondo che in 56 secondi si è perso; nella paura-panico che ancora può prendere alla bocca dello stomaco quando qualcosa traballa e alla voglia di scappare, fuggire all’aria aperta, fuori da mura, costruzioni, case.
E’ nella voce che trema quando in Tv fan vedere ”un evento terremoto”, al pensiero che va ai rischi ad esso connessi, ai sistemi di prevenzione ed evacuazione, alla necessità di tenere sempre le porte aperte, ovunque si vada, allo sguardo che, in ambienti nuovi, cataloga finestre, muri portanti, scale, eventuali vie di fuga alternative.
E’ nello sguardo spaventato e nell’ansia che riemergono nei giorni di ricordo, i 6 di maggio di ogni anno, come il timore che possa accadere di nuovo, all’improvviso, mentre si cammina per strada, possa arrivare da dietro un colpo sul “cupin”, sul collo, che lascia tramortiti. E non si era trattato di un brutto sogno, purtroppo, ma una “calamità naturale” e il tempo passato si è tradotto nella capacità di ricordare, soprattutto scrivendo, per fissare memorie e ricordi e lasciarli andare.
La pittrice di ricordi
Così non una, ma mille volte la pittrice di ricordi ha ripercorso gli stessi sogni di notte, finché un bel giorno, stanchi, non hanno deciso di riposare.
Ha camminato di notte per le vie di Gemona con la fantasia: passando davanti al Duomo, percorrendo Via Bini, e poi giù, piazza del Ferro e poi giù per le ripide vie, fino a casa, in Tiglio. E poi ha scritto, descritto pezzo per pezzo, mattone per mattone, con dolore ed incredulità un intero paese, ricomposto volti, persone, aprendo le porte chiuse di stanze ormai sgretolate.
Con un invisibile cazzuola ha cercato di tirare su muri di ricordi per rivedere, per sentire il profumo bianco del panificio di Piovega, toccare i cannoni lisci del Castello, sedere fuori dal Duomo assieme agli amici. E ha scritto, fino ad oggi solo per sé, perché era l’unico modo per ricordare e poi dimenticare il dolore tenedolo chiuso nel Pc.
Con un pennello magico ha ridipinto case e piazze, per anni, fino a ripercorrere ballando con le memorie la scacchiera quadrettata, tradizionale piattaforma delle feste all’aperto del mese di agosto nella rocca del Castello.
Come se un film, oppure il fatto di condividere il dolore della perdita con il semplice raccontare, potessero cancellare il trauma che, per molto tempo di notte, ha continuato ad aprire case diroccate, strade spaccate dalle scosse, stanze pericolanti con i mobili in equilibrio nel vuoto, ferite negli occhi, morti sui carretti.

Daniele Carnelutti dalla pubblicazione
“Biele Glemone” del 2016
Come una richiesta di un risarcimento umano per quello che viene rapito: un mondo che gli occhi pazzi e vuoti per lungo tempo hanno cercato e la memoria, in un puzzle di ricordi, che testardamente, ha messo insieme scrivendo.
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