“Vivo, ma non ho scelta né un motivo”, Andrea Lazlo De Simone, 2021.*
Banale e finanche scontato, ma ineludibile è ricordare “Di doman non v’è certezza”, per poter aggiungere che non vi è certezza di molto altro e forse di quasi nulla.
Perfino il famoso assioma “mater semper certa”, un caposaldo dall’origine della specie ai tempi recenti, non può essere più applicato automaticamente dal 1978, anno in cui ci fu la prima fecondazione in vitro, perché un bambino può avere una madre genetica diversa da quella che l’ha partorito.
Lo scandire del tempo fa eccezione, mi veniva in mente aggirandomi nel paese degli orologi, Pesariis in val Pesarina, Carnia. Il succedersi nelle stradine del paese di orologi bellissimi e ingegnosi, seppure dotati di rumori inquietanti nel silenzio quasi assoluto, rimanda alla ricerca umana di un riferimento sicuro per uno dei parametri fondamentali della esistenza.
Ma gli orologi rappresentano solo l’aspetto macroscopico del tempo, e non danno una definizione corretta per le particelle descritte dalla meccanica quantistica. Forse neanche il tempo è una certezza…
Verrebbe da essere d’accordo con la citazione in esergo: quando Andrea Lazlo De Simone ha scritto il bellissimo brano Vivo era gennaio 2021, in piena pandemia. Il primo verso suona nichilista e addirittura nietzschiano, direbbe qualcuno… Si può valutare il testo della canzone pensando che quello è stato un momento di grande incertezza e di smarrimento, quando l’eco delle pestilenze del passato si è mescolato a paure irrazionali moderne, come quella dei vaccini.
(Peraltro, Zygmund Bauman aveva scritto La società dell’incertezza già nel 1999, e parlava dell’incertezza come un fenomeno sempre esistito nel corso della storia umana, ma per l’Autore la novità consiste nella incertezza permanente, e nella necessità di sviluppare l’arte di vivere costantemente in questo stato).
Quasi si fosse trattato di un evento spartiacque, sono seguiti alla pandemia le guerre in corso e l’accentuarsi di fenomeni climatici anomali, come in una catena di catastrofi bibliche. Certamente in molte parti del mondo non pertinenti alla sfera occidentale questi fenomeni erano già in corso da tempo, ma non godevano di buona stampa e perciò nessuno ne parlava.
E adesso cosa dobbiamo aspettarci, la piaga delle rane, delle zanzare, e delle locuste? Il brusco passaggio dall’epoca delle apparenti certezze alla percezione d’incertezza attuale ha prodotto fenomeni inediti.
Un esempio di ciò che ha colpito chi scrive, è stato l’aumento del turismo post – pandemia, che ha già sorpassato tutti i livelli precedenti, nonostante l’aumento dei prezzi e la quasi scomparsa del low-cost. Una sorta di frenesia sembra essersi impadronita di tutti coloro che hanno una possibilità di spostarsi: all’inizio sembrava una reazione normale ai tempi della chiusura, ma ora che il fenomeno continua a crescere sono in gioco altri fattori.
E’ sopraggiunta la paura di perdersi qualcosa, FoMo (fear of missing out) come dicono gli Americani che hanno un acronimo per tutto, e segnala la presenza di un’inquietudine di fondo: è un modo di viaggiare paragonabile a una fuga senza fine, come quella di Franz Tunda nell’omonimo capolavoro di Joseph Roth.
Sempre a proposito di turismo e anche prima della pandemia, bucket list è un’espressione molto popolare tra i viaggiatori anglofoni per indicare una “lista desideri” di viaggio, che fa pensare a quelle di Amazon!
Letteralmente la “lista del secchio” significa un elenco di cose da fare prima di morire, dato che il modo di dire kick the bucket corrisponde più o meno al nostro “tirare le cuoia”.
(E’ ignota l’origine di questa espressione traducibile letteralmente come: “dare un calcio al secchio”, ma la sua comparsa nell’Inghilterra settecentesca mi induce a pensare, più che a un riferimento al suicidio, come proposto da alcuni, all’atto di calciare il secchio sotto i condannati alla pena dell’impiccagione, all’epoca applicata anche per piccoli furti, e perfino su bambini di 9 e tredici anni).
Come altri modi di dire, anche questo offre un indizio di cosa c’è sotto: un’ossessione della lista che maschera la difficoltà di fare i conti con l’incertezza, e di accettare che tra le poche certezze che abbiamo c’è quella di essere nati un giorno e un giorno di dover morire.
Ma lasciando da parte considerazioni filosofico – esistenziali, possiamo prendere spunto dalla psicologia sperimentale e alle neuroscienze per capire di cosa parliamo quando parliamo d’incertezza.
Le neuroscienze ci dicono che il cervello è un organo terrorizzato dall’incertezza: la paura dell’ignoto è stata ritenuta “la paura che regna su tutte le paure”.
Questa paura è perfettamente comprensibile da un punto di vista evolutivo: la capacità di associare dei segnali a degli eventi che li seguiranno ha nettamente favorito la sopravvivenza di coloro che ne erano dotati.
In centinaia di milioni di anni di sviluppo, il Corpo Striato nel cervello ha messo a punto un altro talento. Non solo è in grado di prevedere esiti positivi e negativi, è anche in grado di calcolare le rispettive probabilità di questi esiti. Quando le rispettive probabilità si avvicinano al 50%, per la mente è allarme rosso!
Riportiamo come esempio uno delle più noti esperimenti che hanno indagato su questi meccanismi, avvenuto nel 2016: un gruppo di ricercatori inglesi indagò le reazioni di persone a cui era stato detto che avrebbero ricevuto “certamente”, o in alternativa “probabilmente”, un dolorosa scossa elettrica.
Si scoprì che i volontari che sapevano con certezza che avrebbero ricevuto la scossa erano più calmi e meno agitati, in modo valutabile attraverso i segnali di stress, di quelli che sapevano di avere un 50% di possibilità di ricevere la scossa elettrica.
L’incertezza è dunque più stressante della certezza che qualcosa di negativo stia per accadere!
Possiamo riassumere dicendo che il cosiddetto “cervello predittivo” ci permette di ridurre il dispendio energetico cerebrale, evitando prolungati stati d’incertezza.
Ciò è in relazione con la necessità del cervello, organo nobile per eccellenza, di contenere il suo costo energetico, che da solo ammonta al 20 – 25 % del consumo di tutto organismo.
D’altro canto, è solo lo stimolo di un evento inatteso, e cioè una situazione d’incertezza, che ci permette di apprendere qualcosa di nuovo e di evolvere, come individui e come società.
Un corollario interessante a quanto detto fin qui, ci arriva dalla psicologia sperimentale, che ha dimostrato come la capacità di estrarre conoscenza dal mondo ai fini di predizione sia presente già alla nascita. In base agli esperimenti, sappiamo che l’esposizione a oggetti nuovi e inattesi è capace di attrarre velocemente l’attenzione di un neonato, scatenando il cosiddetto “effetto sorpresa”.
Queste nostre capacità, che sono quindi innate e frutto di una lunghissima evoluzione, ci richiamano alla mente una frase di Karl Popper il quale, nel libro intitolato Tutta la vita è risolvere problemi, diceva che “facciamo morire le ipotesi al posto nostro”!
In tema di incertezze e del loro contrario, le certezze, una nuova scienza chiamata Neuroetica ci permette di fare un ulteriore passo in avanti. Questa prospettiva ci aiuta a interpretare i nostri comportamenti attraverso le neuroscienze, per esempio capire cosa avviene nella nostra mente rispetto alle false credenze.
Sembra infatti che non sia la mancanza di cognizioni scientifiche il fattore principale della facilità con cui si crede alle “bufale”, ma piuttosto il fatto di fondare le proprie opinioni in base a due elementi: da un lato l’appoggiarsi a persone che riteniamo più esperte di noi, dall’altro la paura di essere ingannati, che ci fa dare credibilità a chi condivide i nostri valori.
Quindi accettiamo le opinioni di chi pensiamo sia dalla nostra parte e che al tempo stesso sia più esperto di noi. Questo atteggiamento certamente ci risparmia lo stress dell’incertezza… E ci suggerisce che molti comportamenti sono basati sulla valutazione di argomenti che non sono indipendenti dall’identità sociale e politica di chi le sostiene.
Ancora una volta, tra certezze e incertezze, il mondo ci coglie di sorpresa, e ci siamo lasciati sorprendere fino al punto di dover scoprire che la libertà e la pace non sono date per sempre.
E allora possiamo tornare ai versi iniziali, capire che il testo non è affatto nichilista, e essere d’accordo nel dire che: “ci conviene cogliere il tempo che rimane, perché non siamo senza scelta né motivo!”
*Vivo
Ma non ho scelta né un motivo
Il mondo è un tipo irrazionale
Fa come vuole
Non dà nessuna spiegazione
Ti conviene
Cogliere il tempo che rimane
Prima che smetta di bruciare
Dentro al tuo cuore
Anche il più piccolo ideale
Che sta tremando di terrore
Lo so bene
La vita è breve e pure stretta
Ma la tua mente è una gran sarta
Che cuce in fretta
Il tempo di una sigaretta
Che fa bene
A chi ha la luna maledetta
E dalla vita non si aspetta
Che sia perfetta
Si gode quello che gli spetta
Perché si muore troppo in fretta
Tu lo sai che ti conviene
Finger di non sapere
Che il mondo è verticale e vai giù
Insieme alla tua tempra morale
Che teme di invecchiare
E di dimenticare
Come si cambia in fretta
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