Le piante rappresentano per noi tutti la sopravvivenza. Gli alberi attraverso l’azione clorofilliana ci forniscono ossigeno e tanti altri benefici per la nostra vita. La Nazione delle piante ci insegna che i padroni del Pianeta non siamo noi ma il regno vegetale che rappresenta l’85% delle creature presenti al mondo.
La nostra specie, poi, che è qui da 300.000 mila anni, molto poco rispetto alle piante che hanno tra i 2 e i 5 milioni di anni. E per quanto riguarda il percepire l’ambiente, le piante, sono capaci di “sentire” meglio degli animali e degli uomini stessi.
Le piante sono organismi straordinari, non hanno un cervello simile a quello umano, ma nonostante questo hanno un’intensa vita sociale e oggi sappiamo che sono “diversamente” intelligenti.
L’intelligenza, quella facoltà che i più pensano sia un appannaggio del solo regno animale, per lo più umano, come facoltà di risolvere problemi e trovare idonee soluzioni, mentre oggi sappiamo, dopo molte ricerche, che esiste un’intelligenza e perfino una memoria delle piante (Mancuso e Viola, 2013).
Già Charles Darwin ne aveva dato una definizione più ampia, ovvero che “essere intelligenti è soprattutto agire in modo intelligente” e questo le piante lo fanno, da sempre.
Così come sappiamo che alberi e piante sono in grado di comunicare ed hanno una forte relazione tra di loro, e si aiutano come comunità, finanche e ben più di quanto gli esseri umani sappiano normalmente fare. Tra i tanti esperimenti fatti per più di cinquant’anni da Cleve Backster, un ingegnere che lavorava alla Cia, sulle facoltà intellettive delle piante che lui per primo definì “biocomunicazione”, colpisce quello con cui trovò il modo di registrare le minacce al benessere della della sua Dracena attraverso degli elettrodi fissati alle foglie. Backster registrò per la prima volta, attraverso un grafico tracciato da un poligrafo, le reazioni di paura di una pianta minacciata di morte.
Così come nel 2013 potè verifcare che una pianta da appartamento, abituata agli esseri umani con i quali normalmente convive, emetta un segnale particolare quando in casa si presenta per la prima volta un estraneo; tutte scoperte che vennero validate e pubblicate sulla prestigiosa rivista “Science”. Spesso poi le piante crescono in associazione simbiotica e la cooperazione tra diverse specie determina tutta una serie di effetti positivi, in primis il miglioramento della qualità del suolo o ancora le condizioni ideali per attirare gli insetti impollinatori o ancora per combattere tutte insieme parassiti e altri agenti patogeni.
Così come i funghi rappresentano la collaborazione a livello radicale, sotterraneo, con interazioni tra specie fungine e specie arboree, mirate alla produzione di elementi minerali utili alle funzioni vitali delle piante come il fosforo, in cambio i funghi ricevono dalle piante una parte degli zuccheri prodotti attraverso il meccanismo della fotosintesi. Quello delle piante è un mondo molto complesso, diversificato per modi, tempi e costrutto rispetto al regno animale. Le piante infatti, hanno sviluppato un sistema differente di comunicazione, fatto di molecole chimiche al posto dei suoni, di immobilismo al posto del movimento.
Le piante producono migliaia di molecole differenti che spargono in atmosfera e con esse si scambiano informazioni su quanto le circonda. Pare che gli alberi e le piante si riconoscano tra parenti.
Come sia possibile ancora nessuno lo ha scoperto, ma dagli studi effettuati si è ipotizzato che il riconoscimento avvenga proprio attraverso i loro essudati di tipo chimico, un po’ come se fosse una sorta di impronta riconoscibile dagli appartenenti allo stesso gruppo, attraverso il rilascio di molecole volatili e gli enzimi attivi sulla superficie cellulare (Hiscok et al, 2002). A dirla così pare davvero strano ma le piante ricordano e imparano, in sostanza hanno una vera e propria memoria intesa come quella capacità di immagazzinare informazioni e di potervi attingere quando occorre; facoltà che da sempre abbiamo creduto essere appannaggio del solo regno animale appunto come evidenziato da una ricerca scientifica di Trewavas (2014), va detto che nessuna pianta selvatica potrebbe sopravvivere a lungo se non utilizzasse il ricordo della sua vita passata, intesa come esperienza del tempo che ha già vissuto, facoltà che gli permette di integrare il suo quotidiano con le previsioni del suo futuro. Diversa è la composizione, rispetto a noi umani, di ciò che sta alla base del ricordo, che nel regno delle piante è di tipo elettrochimico come approfondito bene in un importante studio in tal senso sulla loro fisiologia (Brenner et al., 2006).
Per esemplificare possiamo pensare a queste connessioni in modo simile a quello che accade nei circuiti elettronici come scambio tra cellule vicine.
La stessa cosa accade per la regolazione dell’orologio biologico e per il loro ritmo circadiano, quel sistema complesso interno appartenente a ogni cellula esistente capace di regolare le attività nelle diverse fasi del giorno che le piante utilizzano per via “elettrica” al fine di modificare il loro comportamento in relazione, appunto, alle varie condizioni ambientali.
Ma per meglio spiegare le capacità mnestiche degli alberi, fondamentale è l’accumulo di alcuni elementi chimici nelle loro strutture. Il più importante è risultato essere negli studi fatti il calcio (formula chimica Ca) che anche nell’uomo sembra essere determinante durante la fase di apprendimento per consolidare il ricordo degli eventi passati e per la trasmissione dei segnali nervosi.
Così come per noi, questo meccanismo è alla base della memoria delle piante, della loro capacità di reagire ai cambiamenti e allo stress. Diversi studi condotti negli ultimi trent’anni hanno dimostrato che tale capacità si sia sviluppata come una sorta di memoria “immunologica”, per attuare una serie di meccanismi di difesa da forme di aggressione infettive e verbali (Karban e Niiho, 1995) da parte di parassiti agenti patogeni man mano che si presentano, suggerendo una forma di memoria interna capace di ricordare e usare l’esperienza già vissuta (Karban, 2015).
Diverse sono le piante che ricordano le esperienze traumatiche passate, quando vengono minacciate da qualche attacco di erbivori, parassiti, calamità naturali, eccetera, che non solo mettono in atto una risposta difensiva per proteggersi ma altresì sono in grado di comunicare il pericolo imminente ad altre piante nelle vicinanze. E questo il caso delle acacie africane (Robinia peseudoacacia L.) che, quando vengono attaccate dai morsi famelici delle giraffe, iniziano a secernere nelle foglie un composto chimico sgradevole che non solo limita il consumo delle loro foglie ma altresì è in grado di comunicare chimicamente alle piante vicine il pericolo in arrivo. Un meccanismo derivante dalla memoria delle acacie che immediatamente riconoscono le giraffe e che permette loro non solo alle acacie di sopravvivere, ma anche alle giraffe di variare in tal modo la loro dieta preservando inconsciamente la loro principale fonte alimentare. Altre piante invece, quando sono minacciate dagli erbivori emettono degli ormoni che attraggono predatori e parassiti che a loro volta attaccano gli animali che le stanno depredando, attuando in tal modo una sorta di iper-fastidioso e salvifico disturbo. Tutto, nel mondo delle piante, dipende dalla loro particolare memoria e dalle emergenze passate e in atto.

Tutto in una società verde come lo è una foresta avviene per la soddisfazione di tutti, in una sorta di fidelizzazione per il perseguimento dell’interesse generale. Se la stessa cosa accadesse nelle società umane attraverso la corretta regolazione delle nostre necessità, è opinione condivisa da molti che staremmo un bel pezzo avanti. La comunicazione, l’aiuto reciproco, la memoria degli accadimenti, nell’uomo si limitano ad essere per lo più delle esigenze e delle pulsioni individuali oltre che dei mezzi utilizzati per l’interesse di pochi. Il mondo degli alberi e delle piante invece ha sviluppato nel corso di milioni di anni un altro istinto, inclusivo e funzionale al benessere di ogni essere vivente. In un mondo sempre più frenetico e digitalizzato, scoprire cosa si nasconde nella vita di alberi e piante non è solo un atto di consapevolezza ecologica, ma un gesto di cura e amore verso noi stessi.
Questi esseri silenziosi ci offrono ossigeno, bellezza, nutrimento, salute, ombra e serenità. Ci insegnano la pazienza, la resilienza e la capacità di crescere e sopravvivere anche nei momenti difficili nonostante non dispongano di mobilità. Coltivare il verde intorno a noi, e dentro di noi, è oggi più che mai un modo per tornare a respirare profondamente. Perché in fondo, ogni albero, ogni pianta, è una reale promessa di vita, oltre che una continua e meravigliosa scoperta.
Riferimenti bibliografici:
Backster, C. (2014) Primary Perception: Biocommunication With Plants, White rose University Press, Heslington.
Brenner, E.D., Stahlberg, R., Vivanco, J., et al. (2006) Plant neurobiology: An integrated view of plant signaling, in “Trends in Plant Science”.
Hiscock, S.J., Bown, D., Gurr, S.J. e Dickinson, H.G. (2002) Serine esterases are required for pollen tube penetration of the stigma in Brassica, in “Sexual Plant Reproduction”
Mancuso, S. e Viola, A. (2013) Verde brillante: sensibilità e intelligenza del mondo vegetale, Firenze, Giunti.
Trewavas, A. (2014) Plant Behaviour & Intelligence, Oxford University Press, Oxford.
Karban, r. e Niiho, C. (1995) Induced resistance and susceptibility to herbivory: Plant memory and altered plant development,
in “Ecology”.
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