Quando la poesia diventa memoria, quando attraversa il tempo, e ripercorre strade conosciute, quando risente odori e profumi di un vissuto solo momentaneamente accantonato, allora avviene una straordinaria combinazione di nuove e antiche emozioni, i fotogrammi sfocati della storia passata riprendono corpo e colore e le parole ripetono il miracolo della vita.
Luigi Natale ha il dono di ricreare con versi misurati il suono dolce di un eterno fluire delle cose, ne rallenta il passo fino ad una pausa in cui “oggi e ieri” perdono significato e differenze, perché “sono” ed esistono nel miracolo della poesia. Ma non è facile in questo mondo che trabocca di parole inflazionate, scopiazzate, inventate, contaminate, trovare quelle giuste per ricostruire, riparare un mondo perduto.
Comincia da lontano la ricerca poetica di Natale, affrontata con coraggio ma tenacia, l’umiltà della scelta di un genere difficile, riservato a pochi, con lo studio e la conoscenza dei grandi poeti della nostra letteratura passata e recente. Una strada difficile ma sorretta da una vena poetica alimentata da un amore costante per la propria terra di origine, la Sardegna. Infatti Mario Luzi, voce importante della letteratura italiana del novecento, che accompagnò con una sua prefazione la pubblicazione della raccolta del 2001 Il telaio dell’ombra, seppe vedere nel giovane poeta Luigi, una sensibilità originale, autenticamente partecipe del mondo che evocava.
Ma non c’è solo nostalgia e amore per il mondo di appartenenza, per quel groviglio stretto di affetti, cose, case, sapori e odori, lasciato e ritrovato, grazie ad misteriosa sintesi di ricordi volontari e involontari. Natale ne parla con la malinconica nostalgia ed insieme con la disincantata consapevolezza di un tempo passato. Allora un lessico semplice nel significante ma complesso nell’uso dell’aggettivo, e del verbo, ridà vita al ricordo mantenendo in esso l’estranea presenza di una coscienza dell’oggi un po’ amara.

Questa strana e ardita combinazione lessicale, vive contemporaneamente di suoni e immagini, odori e colori, presente e passato, attraversa tutta la ricerca poetica di Natale, e spiega l’attenzione crescente verso l’autore sia del pubblico che della critica. Ne abbiamo subito un assaggio nei primi due versi che aprono la raccolta:
“Siamo dentro i nomi di ciò che abbiamo amato”. Il presente del siamo si confronta malinconicamente con il passato dell’abbiamo amato. Essere nei nomi capovolge la sintassi del nostro ego: il protagonismo che ci è tanto caro diventa traccia consumata, recuperabile non in ciò che ci è stato caro ma nei nomi di ciò che abbiamo amato! Le parole, dunque, diventano il filo per ritrovarci, riconoscerci!
Tocca leggere con attenzione i versi di Natale, perché ogni sintagma apre uno spazio nuovo, trascina il lettore in un movimentato e labirintico percorso, la cui lettura delle singole parti è più chiara di quella complessiva. “La pietra viva di una piccola casa cresce nel cuore vuoto dell’eternità” .
Le parole si arrampicano su ossimoriche opposizioni: la pietra inerte e insieme viva, cresce in un cuore, quello di una eternità che però rimane sempre vuota. Ogni vocabolo ha un suo significato quasi visivo, eppure il senso complessivo non ha la semplicità delle singole parole. Ma il file rouge che percorre in modo sottile e comunque costante tutta la raccolta è la memoria, una successione di ricordi vivi di una vita passata, nostra e di tanti che non ci sono più. Un memoria viva, non confinata in uno spazio recintato, una somma di emozioni che si affaccia più e più volte nell’oggi per ammonirci, per dialogare ininterrottamente con il tempo presente. A volte si affaccia come storia: “Un tempo fu guerra sulle colline. Ora è luogo di pace, allegria di verde” (da Sulle colline).
E quando è vita ha un’esistenza precaria, minacciata dall’oblio, la morte del ricordo: “La giovane vita che ha bisogno solo di voi non muoia dove tutto si dimentica” (da Sulle colline). Memoria come consapevolezza della lenta consunzione delle cose: La fornace abbandonata……una pala arrugginita ( da Ora capovolta) ma anche come apertura verso il futuro “lasciare che il ricordo del tempo cresca il suo frutto” (da Con gesto leggero). O come coscienza di strade sbagliate “ ci siamo persi dentro un mondo stabile, chinarci per ore davanti a lunghe file di formiche……si amava quel che la vita lasciava” ( da Puntellare la luce dell’aurora).
La memoria è anche questo, confronto tra passato e presente, riscoperta di una bellezza ingenua che il presente ha inaridito. Ma c’è una pazienza antica che smussa le punte del dolore, della rabbia, della delusione, che si nutre di una saggezza popolare, che sa ridimensionare le cose e guardarle con la giusta prospettiva.
È la memoria di gesti antichi, ripetuti con calma, senza fretta, con la consapevolezza che tutto può accadere su questa terra che non si stanca della gente (da Ti incontrerà per strada).

La memoria è ritorno, ricongiungimento con noi stessi, un rivedersi nello specchio del tempo: “come vorrei che questa terra rossa/ raccontasse di quando ci vide arrivare. /Il nostro sguardo sperso in un’altra luce/le valigie con dentro i solchi dell’aratura/ il mormorio dell’aria pura che dava pace/ a una collina erbosa” (da Terra rossa). Memoria è conoscenza, esperienza da rivedere e riscoprire, riflessione, occasione di un dialogo silenzioso con sé stessi, momento di un bilancio: “riconoscere negli occhi di un padre/che non trovi mai dove li cerchi, la grande memoria dei raggi del sole”: e di promesse future, prendendo dal passato ciò che può aiutare a leggere meglio il presente: “fare una promessa davanti al mare che custodirai in un libro.
Amare la bellezza nel sorriso di un neonato/ e del suo mistero le parole antiche”. (da Saperi e conoscenze). Un lessico visivo aiuta e favorisce la metamorfosi di un passato che diventa presente, e si diventa spettatori silenti di una scena che ci appartiene come fosse nostra.
Stupisce questa capacità dell’autore di evocare con delicatezza ed insieme corpo un mondo di usi, costumi, stili di vita, valori tanto più significativi quanto più arido è il mondo dell’oggi. Senza che esso appaia come anacronistico recupero, ritorno tardivo alle origini. Anzi più volte appare confermata una distanza incolmabile tra l’oggi e ciò che era ieri: “Resta in questa campagna dimenticata/ un vecchio che curvo pota/ Oppure: Nei profili degli ulivi/ i ricordi sono il fumo di una lampada a olio.
E in altri versi: “la memoria sarà solo vento e acqua nell’orbita di un mondo dove ogni parola è il vuoto di un verso”
Difficile far tesoro di un mondo lontano, l’autore lo confessa con malinconica pacatezza: “poter imparare dalle stagioni/ cambiare e tornare, le anime che passano/ facili nei sogni, mai si fermano a parlare con noi”. (da Passano facili nei sogni). Calmo e sereno, come il gesto saggio di chi conosce il valore del tempo.
Luigi Natale ci porta in una dimensione ove tutti i contrasti si appianano e rivivono con una meravigliosa combinazione: la semplicità di ieri e complessità dell’oggi, perché l’autore appartiene al suo tempo.
Solo negli affetti il poeta smette anche se solo per poco di essere tale, torna bambino, e nel ricordo della nonna che curava l’orto, conosceva tutti i nomi delle erbe e delle piante/ faceva la torta all’arancio,/ seada e culurgiones, formaggi/ e pane carasau/ e quando faceva tutto questo/ sorrideva come un incanto/, solo allora la memoria perde ogni complessità e diventa semplice affetto
e pura nostalgia.
Luigi Natale (Orotelli 1957) è stato un celebre terzino. Ha scritto cinque libri di poesia molto apprezzati dalla critica: Ospite del tempo (1998); Il telaio dell’ombra (2001, con Prologo di Mario Luzi); Orizzonti sottili (2005);
L’orlo del mondo (2012); Il mare che aspetta (2018).
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