Si è da poco conclusa alla Galleria Sagittaria di Pordenone la mostra di Ulderica Da Pozzo dal titolo evocativo Echi del tempo. Fotografie per una memoria identitaria, a cura di Angelo Bertani.
In mostra una sessantina di fotografie a colori realizzate dagli anni ‘90 al 2023, testimonianza dei luoghi più intimi, le stanze delle case di paesi friulani di montagna e di campagna, che furono abitate da uomini e donne comuni, persone che probabilmente hanno attraversato la storia senza rumore e da una selezione di fotografie dal progetto “Fuochi”, con immagini dal rogo della Vecchia e dai “pignarui” ossia i tradizionali fuochi rituali della tradizione popolare simbolo di purificazione e rinnovamento. I luoghi sono quelli cari alla fotografa, quelli delle sue origini, la Carnia e i luoghi della memoria vicina e lontana, come lei stessa afferma, “Seguendo un filo tra la vita e la morte.” per raccontare la storia attraverso “gli echi di un tempo che c’era prima di noi”.
Suggestiva è la frase scritta sopra una porta di Savogna ne “La porta dipinta” (2016) che così recita “Il tempo passa, e le sue memorie lassa. Breve è il transito, dalla cunna alla cassa” e che riassume in poche battute, come la sapienza popolare sa fare, la transitorietà della vita.
Si possono individuare, tra gli altri, alcuni temi centrali: il tempo nel suo snodarsi tra passato e presente; la memoria soggettiva e collettiva nel gioco tra presenza ed assenza, perdita e recupero; il transito come percezione di un flusso di vita vissuta in opposizione all’immobilità degli oggetti rappresentati o per meglio dire delle “cose” che ci rimandano tracce di esistenze.
Sono memorie silenziose, che raccontano allo spettatore esperienze di vita, storie senza voce, ogni scatto ritrae un pezzo di spazio di luoghi un tempo pieni di vita ora in rovina, intrisi di ricordi perduti, che aprono un varco sulla memoria collettiva di chi lì ha vissuto.
Le fotografie di Ulderica Da Pozzo colgono non la rappresentazione di ciò che è stato nel momento in cui si verificava, ma una rappresentazione di ciò che nel momento dello scatto si era già dissolto e che si connette alla percezione di chi guarda che può solo immaginarne una narrazione.
Si intuisce la volontà di catturare per custodire e condividere almeno gli ultimi echi di ciò che è stato per tramandarne la memoria alla collettività. Un progetto che mostra la parte finale di un processo di trasformazione e disfacimento, che diventa anche denuncia dell’abbandono in cui si trovano molti luoghi. I muri crepati, scrostati, anneriti, i pavimenti consumati, sporchi, invasi dalle foglie o da carte di libri e giornali ammuffiti, gli attrezzi da lavoro arrugginiti ancora appesi al loro posto, il lettino smangiato, il cavalluccio a dondolo dal legno tarlato, una piccola botte ormai inutilizzabile, un cappello di paglia alla parete raccontano storie invisibili, raccolgono l’essenza di un tempo sospeso, testimonianze tangibili di gente semplice, di gesti ripetuti con cura, di tradizioni tramandate. Ogni oggetto custodito in questi spazi deserti parla di fatica, amore, attesa.
L’artista evoca attraverso le sue immagini luoghi semivuoti abitati solo da vecchi oggetti abbandonati, consumati dall’uso e dal tempo e per questo pieni di significato, testimoni dell’antica presenza di uomini, donne, bambini che hanno attraversato quelle porte, hanno guardato attraverso le finestre e in quegli spazi hanno lavorato, mangiato, pregato, dormito e anche pianto e riso. Attraverso queste immagini di dimore abbandonate, paesaggi con cimiteri e fuochi epifanici si attivano processi di rammemorazione e di immaginazione nella mente di chi guarda.
Si viene così a creare un ponte tra chi ora guarda le fotografie, l’artista e il tempo passato. Come afferma Ulderica Da Pozzo nel testo in catalogo “Nelle mie immagini resta impigliato l’eco del respiro di chi è vissuto in quelle stanze e luoghi. Anche quando il verde si riappropria e mangia le stanze, e tutto torna natura, erba e bosco, io sento e vi racconto l’eco dei passi.” E questi respiri e questi passi diventano memoria collettiva, una finestra sul passato che conserva dettagli e atmosfere che lentamente svaniscono e svaniranno, distrutti dal tempo e dall’uomo come già accaduto per alcuni di questi, se non verrà tenuto un archivio che permetta di conservarne le testimonianze e quindi la memoria.
Le fotografie come medium ci collegano al passato offrendo uno sguardo intimo su luoghi sconosciuti, facendoli diventare familiari, ne catturano e trasmettono il fascino e quel leggero senso di inquietudine in equilibrio tra documento storico-antropologico e immagine di grande forza evocativa.
Ulderica Da Pozzo è una fotografa friulana. Nata in provincia di Udine, inizia a fotografare nel 1976 e nel 1980 diventa fotografa professionista. Approfondisce lo studio del linguaggio fotografico con Ferdinando Scianna, Gabriele Basilico, Oliviero Toscani e Franco Fontana. Collabora e pubblica su testate di tiratura nazionale. Ha vinto numerosi premi. Vive e lavora tra Udine e Ravascletto, paese natio.
Indice
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