Il presente articolo è un estratto della videointervista – accessibile a questo indirizzo – realizzata dalla prof Nella Maccarrone al prof. Dipak Ray Pant* il 6 ottobre 2025.
Nell’ interrogarci sulla nostra idea di città, ormai non possiamo prescindere dal riflettere sul fattore sostenibilità.
Abbiamo dunque contattato un esperto in questo campo, il Prof. Dipak Raj Pant, antropologo ed economista, che è stato il fondatore del primo centro di ricerche sull’economia sostenibile in Italia, nel 2000, quando la parola non era ancora così usata e spesso abusata.
Attualmente impegnato in un progetto di riqualificazione di un’area depressa dell’Abruzzo, ha gentilmente accettato di essere intervistato, in nome di una conoscenza iniziata molti anni fa.
Alla luce dei suoi studi e ricerche, quale definizione ci può dare del concetto di sostenibilità?
Sostenibilità implica preclusione della discontinuità di un sistema e conseguentemente prevenzione dal suo degrado. È un concetto abbastanza minimalista. Significa procedere accumulando valore e non disvalore. Ciò si può ottenere puntando sulla cura e l’equilibrio di quattro dimensioni dell’attività umana.
La prima è economico-finanziaria.: se si vuole aggiungere e non erodere valore, non si può vivere solo di prestito o di debito.
La seconda è paesaggistico-ambientale: qui intendiamo la qualità dell’habitat in cui si vive, si lavora, si crea. Oggi, quando si parla di sostenibilità, ci si concentra troppo solo sul discorso ambientale e dell’ecosistema.
La terza è il capitale umano: quest’ ultimo è sia attore che fruitore del sistema, e da qui l’importanza della formazione, della salute dei cittadini, della coesione sociale.
La quarta, infine, è la legittimazione morale: tutto quello che si fa, che si organizza, che si propone deve avere un intento etico, che a sua volta genera consenso sociale e partecipazione a tutte le altre dimensioni. Quando viene a mancare l’attenzione anche a una sola di queste quattro dimensioni, si crea disequilibrio a discapito della sostenibilità.
Certo. Riconosco in questa risposta il suo approccio caratteristico, che compenetra la dimensione scientifica e quella umanistica. Ora, come si può declinare tutto ciò nell’ottica di una rigenerazione urbana?
La città è un luogo-sistema. Per quanto riguarda la dimensione economico-finanziaria, esso deve aumentare o almeno mantenere il livello attuale di reddito e di occupazione. Un luogo-sistema senza reddito e occupazione non può reggere per lungo tempo… se non ci sono affari, la gente va via e si creano discontinuità e premesse di degrado. Preciso che mi riferisco a un certo dinamismo economico e non necessariamente una crescita esponenziale.
Per quanto riguarda la seconda dimensione, entrano in gioco la gradevolezza, la rilevanza estetica dell’aspetto urbanistico e paesaggistico locali, come pure la qualità delle risorse ambientali quali aria, acqua, suolo, manto vegetazionale, quantità del rumore. Per la terza dimensione, l’attenzione va posta sulla qualità di servizi alle persone, alla comunità e alla loro salute, a difesa e mantenimento del capitale umano.
Infine, dobbiamo ricordare che i primi attori del luogo-sistema sono gli amministratori, gli imprenditori e i gestori di organismi senza scopo di lucro, le associazioni varie e il volontariato. Sta a questi portatori di interessi principali creare aggregazione e coesione sociale. Oltre all’aspetto legale, ci deve essere un intento etico, e questo, nel mondo delle imprese, non è sempre così visibile. Tutto quello che dice è davvero rilevante per noi. Nella nostra città è in atto un vivace dibattito su questi temi, anche in vista del fatto che tra due anni Pordenone sarà Capitale Italiana della Cultura. Ma non solo. Recenti interventi urbanistici hanno acceso animati confronti su come intervenire senza esagerare nella cementificazione, senza deturpare il volto della città ma anzi valorizzando ciò che essa può offrire.
Le città medie o medio-piccole come la sua devono puntare molto sulla qualità della vita. Il loro punto di forza non è quello delle città d’arte o dei grandi centri degli affari, della finanza o della moda. La loro attrattività sta nella qualità del vivere e nella qualità del sociale, che comprendono ad esempio l’assenza di crimini e di illegalità. Volendo puntare su una cosa precisa, che ritengo essere il bandolo della matassa, le amministrazioni dovrebbero investire sulla camminabilità. Più una città è camminabile, più è sicura. Se la gente può svolgere le sue normali attività muovendosi a piedi nell’ambito infracomunale- per esempio andare in posta, a scuola, da amici, a fare la spesa – si guadagna in qualità dell’aria, si ha meno rumore, più socializzazione, più controllo delle strade senza bisogno di polizia. Ricerche scientifiche hanno provato che una città non molestata dalle auto offre un grande beneficio in termini di salute e che molti problemi si escludono da soli
Naturalmente, non sto sostenendo che le auto debbano essere abolite, ma che si deve mirare a una mediazione ottimale. In una città camminabile andrebbero quindi difese e incrementate le piccole botteghe, i piccoli esercizi come luoghi di incontro e socializzazione. Si potrebbe fare della camminabilità un marchio distintivo: Pordenone, la città più camminabile d’Italia!
Pordenone, in effetti, date la sua configurazione, avrebbe i prerequisiti per diventarlo. Invece ci ritroviamo con grossi centri commerciali fuori città, a discapito delle botteghe tradizionali. Questo è un problema serio che riguarda le città italiane.
In altri paesi europei dove mi sono trovato, ad esempio l’Olanda, ho potuto constatare che le amministrazioni comunali fanno di tutto per scoraggiare l’apertura di grandi centri commerciali e di catene, sostenendo invece le botteghe esistenti e i mercati all’aria aperta nel cuore della città. E’ vero le piccole attività non possono competere con i prezzi delle grosse distribuzioni. Delle misure compensative da parte delle amministrazioni potrebbero comunque rimediare a questo svantaggio. Va anche considerato che il reddito prodotto sul territorio urbano si riversa sullo stesso, mentre quello delle grandi catene va fuori, non viene reinvestito sul posto. In aggiunta, le piccole attività commerciali, oltre a una funzione economica, hanno una funzione sociale, in quanto centri di aggregazione e coesione e di decoro urbano. Più si chiudono le botteghe e più si spegne la vitalità del luogo.
Che ruolo hanno i cittadini in tutto questo?
In città con scarsa camminabilità gli abitanti sono indotti a uno stile di vita individualistico, sono atomizzati e perdono la dimensione in cui si costituisce un consorzio civile. Ancora una volta, tutto è collegato. Ciò cui si dovrebbe tendere è un approccio minimalista nei consumi e massimalista nella cultura. All’accumulo di beni materiali potenzialmente non c’è mai fine, invece ci si dovrebbe volgere verso ciò che non è materiale ma che crea comunità
e benessere.
Riempire la città con un calendario ricco di eventi, investire in arte, musica, … c’è bisogno di esempi autentici, di effettivi segnali di crescita in questo senso. Ma qui il discorso si farebbe molto lungo e il nostro tempo sta per scadere. Ma prima di chiudere voglio ringraziarla ancora per la sua visione di economista con grande attenzione per il fattore umano, che ci induce a guardare al futuro con occhi più responsabili.

*Prof. Dipak Raj Pant.
Nato in Nepal, istruito in materie tradizionali orientali e in materie scientifiche moderne, dapprima si è diplomato come allievo ufficiale dall’aeronautica militare, poi si è laureato in scienze sociali. In seguito, ha iniziato a viaggiare in tutto il mondo. Durante il suo primo lungo viaggio in Europa ha fatto studi specialistici e ricerche presso la Pontificia Università Gregoriana, diventando così il primo non-cristiano ad ottenere il massimo titolo accademico (Doctor in Philosophia summa cum laude) dalla Gregoriana di Roma. Il professore ha contribuito ad alcuni piani di sviluppo sostenibile in Armenia, Cambogia, Mongolia, Nepal, Perù, Sierra Leone e Venezuela. Il suo campo-base è in Val Sesia, Piemonte, dove vive circa metà dell’anno. Poliglotta e cosmopolita, è sempre attivo sia nel mondo di ricerca sia nella progettazione.
Indice
- Editoriale numero speciale Si è spenta una voce importante per la difesa del...
- La città nel cemento Allo stesso modo con cui sembra che i servizi della...
- Come sta cambiando Pordenone Negli ultimi anni il volto di Pordenone è cambiato, sia...
- Quali sfide per le città contemporanee. Pordenone Quando penso alla “rigenerazione” mi vengono in mente progetti realizzati...
- Cittadini e spazio pubblico Lo scorso inverno, dopo aver sopportato per mesi la vista...
- Città & cemento Nov/Dic 2025 Il tema del numero speciale è CITTA' &...
