Allo stesso modo con cui sembra che i servizi della sanità pubblica stiano peggiorando a favore delle strutture dei privati, così anche la città di Pordenone registra scelte che paiono favorire una privatizzazione della pianificazione-programmazione urbanistica.
Infatti è come se in città esistessero Due Piani Regolatori che viaggiano paralleli e, come le rette parallele, non si incontrano mai:
- Uno è quello Pubblico Operativo dove tutti i cittadini possono riconoscere quale visione avrà lo sviluppo del territorio;
- Il secondo, invece, è quello aperto alle esigenze dei privati, adattato alle specifiche e progressive richieste.
Gli attuali amministratori comunali, difensori di questo sistema, ripetono a chi si oppone, che le scelte sono a sostegno della crescita, della semplificazione, della politica del fare. Accusano i “soliti del contro” di false argomentazioni, di odiare lo sviluppo edilizio verticale, di essere nostalgici della città povera, ferma al passato, di essere contro la ricchezza. Invece, la questione è molto più grave, perché il modello di città che ne deriva tende a capovolgere i valori della “civitas” (luogo della convivenza e del bene dei cittadini) per sostituirlo con il luogo dove si producono rendite. L’effetto pericoloso è che si finisce per facilitare profitti che favoriscono le disuguaglianze (guadagni consistenti a vantaggio di pochi, mentre la maggioranza dei cittadini rimane esclusa dalla partecipazione al godimento dei beni) quando invece la città è di tutti. Ma nel momento in cui il cittadino non è sufficientemente informato sui meccanismi che regolano le concessioni edilizie e non può esprimere le proprie Opposizioni o Osservazioni, specialmente in merito agli interventi del Piano Regolatore destinati ai privati (perché è questo che avviene), si realizza una perdita del livello partecipativo di coinvolgimento dei processi decisionali.
Analizzando con attenzione le scelte edilizie degli ultimi anni, appare evidente che non c’è alcuna visione urbanistica d’insieme perché sono i singoli interventi su piccoli lotti fondiari, nella piena indifferenza dei contesti ambientali, che determinano e disegnano il futuro della città. Questo processo, è bene dirlo, è cominciato già con i precedenti amministratori comunali, che hanno redatto un Piano Regolatore in modo troppo superficiale, lasciando diverse imprecisioni, casualità e premi volumetrici in luoghi non adatti, senza considerare la possibilità di azioni strategiche per migliorare la qualità della vita. I successivi amministratori ne hanno continuato il percorso definendo un piano edilizio debole con variabili episodiche e occasionali fino all’attuale assetto (dissesto?) del territorio.
La scelta recente di perimetrare l’area urbana centrale in 4 Macroambiti, consente ai privati di poter decidere: Dove, Come, Quando e Quanto costruire.
Infatti allo stato attuale è possibile addirittura trasferire cubatura, cioè l’indice di fabbricabilità a metro quadro dall’esterno all’interno di uno dei Macroambiti, aggiungendolo a quello del terreno edificabile scelto in città e beneficiando di bonus costruttivi che possono essere piuttosto consistenti. È in questo modo e con questi provvedimenti premiali che crescono i piani dei palazzi e avanza inesorabile la cementificazione della città. Ovvero i privati possono cedere gratuitamente al comune aree destinate ai servizi (che chiameremo aree di decollo) e in cambio il Comune consente loro l’utilizzo di una volumetria già fissata nell’area di decollo con l’obbligo però di trasferirla in aree indicate specificatamente come aree di atterraggio (poste nelle due zone di Macroambito urbano). A questo, si deve aggiungere una ulteriore incentivazione che ha finalità premiale, che il Comune elargisce per una quantità di volume pari a quello che il privato va a trasferire. Per capire meglio questo aspetto proviamo a fare qualche esempio e calcolo. (Esempio: se il volume di trasferimento è di metri cubi 1.000, il premio sarà di metri cubi 1.000 per un totale di metri cubi 2.000. Questi vanno sommati alla volumetria prevista dal PRGC nell’area edificabile dentro i Macroambiti. Se il lotto di terreno è di metri quadri 1.500 e l’indice di cubatura è di 2mc/mq, a questi 3000 metri cubi si aggiungono i metri cubi 2.000 che vengono dal trasferimento per un totale di metri cubi 5.000. In definitiva si costruisce una palazzina dove nel PRGC era prevista la costruzione di due abitazioni o un piccolo condominio). Se a questo aggiungiamo che le aree periferiche hanno rendite basse e vengono acquistate a basso costo mentre il valore degli immobili realizzati nei Macroambiti è tanto maggiore quanto più si avvicina all’area centrale, il guadagno di queste operazioni è altissimo.


La scelta recente di perimetrare l’area urbana centrale in 4 Macroambiti, consente ai privati di poter decidere: Dove, Come, Quando e Quanto costruire.
Infatti allo stato attuale è possibile addirittura trasferire cubatura, cioè l’indice di fabbricabilità a metro quadro dall’esterno all’interno di uno dei Macroambiti, aggiungendolo a quello del terreno edificabile scelto in città e beneficiando di bonus costruttivi che possono essere piuttosto consistenti. È in questo modo e con questi provvedimenti premiali che crescono i piani dei palazzi e avanza inesorabile la cementificazione della città. Ovvero i privati possono cedere gratuitamente al comune aree destinate ai servizi (che chiameremo aree di decollo) e in cambio il Comune consente loro l’utilizzo di una volumetria già fissata nell’area di decollo con l’obbligo però di trasferirla in aree indicate specificatamente come aree di atterraggio (poste nelle due zone di Macroambito urbano).
A questo, si deve aggiungere una ulteriore incentivazione che ha finalità premiale, che il Comune elargisce per una quantità di volume pari a quello che il privato va a trasferire. Per capire meglio questo aspetto proviamo a fare qualche esempio e calcolo. (Esempio: se il volume di trasferimento è di metri cubi 1.000, il premio sarà di metri cubi 1.000 per un totale di metri cubi 2.000. Questi vanno sommati alla volumetria prevista dal PRGC nell’area edificabile dentro i Macroambiti. Se il lotto di terreno è di metri quadri 1.500 e l’indice di cubatura è di 2mc/mq, a questi 3000 metri cubi si aggiungono i metri cubi 2.000 che vengono dal trasferimento per un totale di metri cubi 5.000. In definitiva si costruisce una palazzina dove nel PRGC era prevista la costruzione di due abitazioni o un piccolo condominio). Se a questo aggiungiamo che le aree periferiche hanno rendite basse e vengono acquistate a basso costo mentre il valore degli immobili realizzati nei Macroambiti è tanto maggiore quanto più si avvicina all’area centrale, il guadagno di queste operazioni è altissimo.


È anche per questo motivo che numerose famiglie, a causa dei diversi cantieri in corso d’opera vedono scomparire giorno dopo giorno il panorama di cui godevano dalle loro finestre e dai loro giardini: le montagne, i campanili delle due principali Chiese storiche, la luna e il sole. Questa concentrazione del carico urbanistico (maggiori abitanti o utenti in minimi spazi) non solo aumenta la cementificazione ma anche l’inquinamento dell’area centrale con conseguenze che già conosciamo. Diversi interventi in deroga alle leggi urbanistiche non tengono conto delle preesistenze edilizie, anzi, appaiono come vere e proprie aggressioni ai quartieri dei villini e/o delle case a schiera dei primi del Novecento.
La edificabilità di un’area non presuppone il diritto di una saturazione completa del lotto. Il volume massimo consentito deve rispettare tutte le condizioni necessarie per raggiungere una migliore qualità della vita e dell’ambiente. Se necessario si deve ridurre l’edificazione per migliorare la presenza di luce e aria, per favorire la funzionalità degli spazi per realizzare parcheggi adeguati (commisurati agli insediamenti previsti e rispettosi degli standard minimi), per l’inserimento del verde alberato capace di creare un’armonia del paesaggio e la conformazione con il territorio circostante.
Ad esempio la disponibilità di parcheggi non deve essere vista come possibilità di fare cassa perché la quantità dei posti auto deve essere prevista in base al carico urbanistico che si genera su quel preciso territorio dove si autorizza una costruzione. Non si può causare un danno ai residenti o agli utenti dell’intervento e la disponibilità dei parcheggi si deve configurare come un vero interesse pubblico e non soddisfacimento di un interesse privato. Pur essendo molto favorevole alla tipologia edilizia a sviluppo verticale, però, bisogna prevederla in modo tale che più si eleva e maggiore deve risultare lo spazio circostante (cosa che non avviene negli interventi attuali a Pordenone). La concentrazione di volumi e di cemento (anche interrato) all’interno delle aree centrali diminuisce la superficie permeabile in zone dove sono carenti. A Pordenone, volumi sempre maggiori di acqua di buona qualità vengono prelevati e successivamente restituiti ai corpi idrici con una qualità sempre più scadente di quella originaria. Se oltre a intubare e tombinare le acque della città, si riducono le portate liquide del corso d’acqua ricettore, si eliminano le aree filtro con conseguente riduzione della capacità auto-depurativa. Il depuratore più efficace e meno costoso rimane sempre l’ambiente acquatico naturale. Non bastano le “coperture a verde” degli edifici, che svolgono una funzione di solo trattenimento di parte dell’umidità e dell’acqua piovana per rilasciarla nel medio e lungo tempo attraverso la evaporizzazione e traspirazione dalle piante.
Gli effetti di Palazzi costruiti nel passato a Pordenone quando non esisteva l’obbligo di reperire le aree per parcheggio sono ancora oggi visibili e per essi paghiamo in termini di funzionalità della città. La mancanza di un’attenta valutazione dell’impatto urbanistico di un nuovo manufatto in contesto edilizio e urbano preesistente non può non comportare effetti negativi sugli abitanti e sugli stessi utenti della nuova costruzione.
Nuovo Condominio in Via Molinari.
Accessi carrai multipli, utilizzando via Marco Polo come spazio di manovra degli automezzi. Le freccette in azzurro indicano le aperture previste nel progetto al Piano Terra e al Piano Primo, nella zona garage, per la fuoriuscita dei gas di scarico degli automezzi verso il marciapiede, verso l’abitazione confinante e verso i giardini delle case dell’ex Cavalleria, tutta area di interesse storico architettonico-tipologico “Zona B0”.

e al Piano Primo, nella zona garage, per la fuoriuscita dei gas di scarico degli automezzi verso il marciapiede, verso l’abitazione confinante e verso i giardini delle case dell’ex Cavalleria, tutta area di interesse storico architettonico-tipologico “Zona B0”

Basta vedere quanto sta succedendo in via Molinari. dove è in costruzione un nuovo condominio di 12 piani. Sono stati previsti accessi carrai multipli che utilizzeranno via Marco Polo come spazio di manovra per gli automezzi. Ma in questo modo si interrompe la continuità di una viabilità già angusta e si riduce l’utilizzo pubblico della strada. Eppure il compito del Piano Attuativo di ogni intervento edilizio è quello di organizzare l’area in modo da non incidere negativamente sulle risorse pubbliche esistenti, anzi migliorarle, in una parola “rigenerarle”.

Un esempio più recente è quello che vede coinvolta l’area di Via Fratelli Bandiera e Via Dante. Anche qui l’intervento edilizio ignora del tutto le realtà preesistenti: costruisce un Nuovo Edificio alto 10 piani e lo si attacca al fabbricato esistente (di colore rosa) che è alto tre piani fuori terra. Si tratta di un impatto d’insieme in completa dissonanza con l’ambiente. Anche su questo intervento si costruisce un Nuovo Edificio alto 10 piani e si attacca al fabbricato esistente (di colore rosa) che è alto tre piani fuori terra (già recuperato in tempi recenti è in sintonia al valore storico culturale del complesso edilizio che è stato demolito). Si tratta di un impatto d’insieme in completa dissonanza con l’ambiente. Non essendoci una viabilità dimensionata e rapportata alla nuova intensità di traffico
che si genererà con i nuovi palazzi a sviluppo verticale, i PAC (progetti ambientali di cantierizzazione) propongono un tipo di organizzazione infrastrutturale inglobando l’area di proprietà comunale e sistemandola con una viabilità di larghezza di m 4.00 più un solo marciapiede.
Il collegamento con viale Dante avviene dall’incrocio modificato-spostato secondo le esigenze dei privati, fautori dell’intervento del nuovo palazzo. Si viene a creare in questo modo un affollamento abnorme di mezzi di trasporto su uno spazio molto ridotto, con possibile ingorgo stradale, rallentamento e difficoltà di movimentazione di veicoli. È evidente che anche pedoni e biciclette saranno penalizzate (inoltre eventuali interventi dei VV.FF. o di una autoambulanza si troveranno in una situazione di grande difficoltà!). Lo spostamento dell’incrocio pubblico è una scelta meramente di interesse privato, per fare in modo che l’accesso carraio del Nuovo Palazzo si trovi a distanza come prescritto dal Nuovo Codice della Strada, altrimenti non potrebbero avere l’autorizzazione del Comando dei Vigili Urbani. In tal modo gli accessi carrai che utilizzano la viabilità come spazio di manovra diventano dei vincoli per il Comune perché non potrà disporre del suolo senza l’autorizzazione del privato. Come se non bastasse, lo spazio pubblico del marciapiede, prima venduto dal Comune al privato (come non si sa) perché non ha sufficiente superficie per realizzare l’intervento, viene utilizzato per ricavare i terrazzi a sbalzo a servizio delle unità immobiliari, ovviamente sopra il marciapiede. Il nuovo intervento invade lo spazio pubblico e invece di apportare migliorie arreca un danno alla comunità.
Mentre viale Marconi ha avuto un progetto complessivo di miglioramento estetico-funzionale, per Viale Dante sono i privati che eseguono dei rappezzi puntuali di asfaltatura a scomputo degli oneri concessori.
Detto questo ci si chiede: quanto si può compromettere il rapporto città-comunità e quanto le esigenze costruttive dei privati prevalgono su quelle dei cittadini?
1- L’articolo 9 della Costituzione Italiana è stato maggiormente rafforzato di recente per includere la tutela dell’ambiente, del paesaggio, del patrimonio storico e artistico, la biodiversità e gli ecosistemi, nell’interesse delle future generazioni. L’articolo 23 riguarda i vincoli imposti dai privati: “Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”. L’articolo 41 disciplina l’iniziativa economica privata che però non può svolgersi in modo da danneggiare la salute e l’ambiente.
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