“Diversamente giovani”. La battuta, scontata tra quelli che sono diventati maggiorenni alla fine degli anni ‘60 dello scorso secolo, definisce bene il comune sentire dei moderni anziani di oggi. A proposito di quella contagiosa creatività popolare che ebbe origine in quel periodo storico, essi ricordano spesso, annoiando i nipoti, lo sconvolgimento musicale e sociale innescato dai Beatles e dai Rolling Stones e da tutti i loro derivati, più o meno provinciali, nei decenni successivi. Ma nelle province del nord est italiano, verso il confine con l’allora Jugoslavia, come fu vissuta quell’epoca? E come poi si è evoluta? In occasione del 2025 – Gorizia/ Nova Gorica capitali europee della Cultura, l’abbiamo chiesto a un protagonista della produzione musicale locale, il goriziano Roberto Montanari. Egli è stato socio fondatore di Audiomark snc, dagli anni ‘70 a oggi unica realtà professionale goriziana di registrazioni e produzioni musicali. Già a metà degli anni ’80 se ne contavano più di una settantina, tra produzioni originali di vinili, musicassette e poi CD. Insomma Montanari ben conosce da sempre le variegate realtà della musica popolare sul territorio a cavallo del confine, anche in quanto produttore e organizzatore di eventi, da allora e fino ad oggi in continua attività.
Dott. Montanari, che ricordi ha delle numerose e variegate realtà musicali sul confine, prima e dopo l’indipendenza della vicina Slovenia (1991)?
“I ricordi, purtroppo sono ormai divenuti un esercizio di memoria, con grande nostalgia per i tempi passati che, certamente, hanno lasciato un segno incancellabile dentro quelli della mia età, che hanno vissuto il periodo storico del “BEAT” dall’inizio degli anni sessanta in poi. Gorizia era diventata quasi una piccola “New Orleans”: nascevano gruppi musicali a profusione, se ne potevano contare quasi una sessantina, alcuni di buon livello altri leggermente inferiori in qualità, ma tutti entusiasticamente innovatori e con messaggi rivolti anche al sociale, recuperando le esperienze delle grandi band inglesi e americane. Notevoli erano le interpretazioni di cover arrangiate ex novo, con professionalità e conoscenza. Il quadro italiano poteva fruire allora della grande libertà che il nostro paese permetteva sia sotto il profilo del linguaggio che della interpretazione, a parte alcuni episodi di censura estemporanea per motivi religiosi e di costume: possiamo comunque affermare che i nostri artisti potevano proporre composizioni e interpretazioni molto libere ed originali. Dall’altra parte del confine, invece, considerato il regime vigente in quegli anni, questa libertà era legata ad un pio desiderio e i numeri degli artisti sloveni impegnati nella “rivoluzione degli anni sessanta” erano minori di quelli della provincia goriziana e si contavano sulle dita di una mano, perlopiù provenienti dal settore del folk, che era il muro portante della musica slovena e della ex Jugoslavia. Un vento nuovo è arrivato con l’indipendenza della Slovenia. Un vento che ha visto crescere esperienze musicali di ottimo livello, nel rock e nelle varie correnti musicali alternative, come quella psichedelica. Oggi gli artisti sloveni sono a pieno titolo considerati ottimi in tutti i contesti musicali d’Europa”.
E in che modo si sono evoluti i rapporti tra appassionati, musicisti e non, a cavallo del vecchio confine, in seguito all’ondata creativa mondiale della musica pop di quegli anni?
“La discografia ha contribuito in modo determinante a coniugare mondi musicali nati diversi ma animati dagli stessi stimoli. Poterne usufruire senza limitazione alcuna ha permesso di condividere i generi e, come per altri temi culturali, si è pervenuti alla “musica senza confine” che sarebbe, in fondo, il risultato più auspicato di tutto il movimento, che ha portato a dare all’intera area geografica il senso della unione tra comunità diverse ma desiderose di vivere tutti insieme”.
Oggi quali sono le caratteristiche più rappresentative della scena locale del pop e del rock italiano e sloveno?
“Sono tante, sulla scena locale sia del rock che del pop. A fronte della crescita anche economica delle due comunità, negli ultimi anni si è registrato un grande miglioramento qualitativo di tutta la musica.
Lo posso dire, senza tema di smentita, sia per la produzione italiana che per quella slovena. La sensibilità degli artisti sloveni è sotto gli occhi di tutti, pur con numeri diversi dal nostro paese. Sono diminuiti i gruppi della “musica spontanea” e sono invece nati quelli della “musica impegnata” che oltre alla pura e semplice esibizione mirano anche a quel “mercato” favorito dalla crescita esponenziale delle tecnologie multimediali: veri e propri motori divulgativi, che permettono di diffondere i messaggi musicali rapidissimamente, forse anche troppo…
E allora, infine, le chiedo: cosa può rappresentare, oggi, l’ideazione e l’organizzazione di un evento goriziano che coinvolga i gruppi italiani e sloveni più rappresentativi dell’epoca “beat”, e cosa significa questo per Lei, personalmente?
“Qualche anno fa ho proposto l’evento “Gorizia Beat”. E’ stata più una iniziativa di cuore che di interesse, ha avuto un successo straordinario, segno dell’importanza che ha avuto il periodo del “beat” nella vita dei goriziani. Nell’anno della città “capitale della cultura europea” non poteva mancare questa presenza storica riunendo sullo stesso palco i protagonisti del passato sia goriziani che della “sorella” Nuova Gorizia slovena. Musica senza confini allo stato puro, per me è forse il risultato più importante della mia carriera musicale. Ancora di più dei festival di Sanremo che ho vissuto in prima persona, che dei numerosi festival e concerti che ho ideato con interpreti provenienti da ogni parte del mondo.
Sono nato con il Beat di Gorizia, ho vissuto esperienze straordinarie e condiviso percorsi con gran parte degli artisti che saranno presenti a questa iniziativa, al solo pensiero di rivivere quei momenti mi viene la pelle d’oca e questo veramente ha dell’impagabile”.






 
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